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Il libro di racconti Piccolo guasto alla centrale del tempo. Cronache (quasi) immaginarie, da poco uscito presso l’editore Stilo di Bari, è opera di Ivan Scarcelli, che è ricercatore presso l’Ateneo barese, dove insegna Filosofia politica, e grande appassionato di libri e di musica. Si tratta di storie che ricordano quel filone della letteratura italiana chiamato realismo magico, i cui maggiori esponenti furono scrittori come Massimo Bontempelli (che inaugurò il genere in Italia), Tommaso Landolfi e Dino Buzzati. Nella loro scrittura si percepisce la tendenza a un’evasione nel campo del fantastico, senza tuttavia che i piedi dei personaggi che lo attraversano si muovano dalla terraferma. Sembra essere proprio questo il meccanismo che sta alla base dei racconti di Piccolo guasto alla centrale del tempo, in cui un accadimento magico, paranormale, oppure semplicemente “strano” (per dirla con Todorov) attiva un circuito di eventi concatenati e successivi, che trovano giustificazione in una cruda, reale quotidianità.
Anche facendo attenzione al sottotitolo del libro di Scarcelli, si può ben cogliere questa duplicità, che egli, devo dire, interpreta con merito e rigore nella sua scrittura. I racconti presentati vengono definiti “cronache”, quindi sembrerebbero riprodurre una realtà effettiva che non prevede esagerate evasioni, eppure sono “(quasi) immaginarie”, cioè tendono a portarla verso quel punto di contatto con il territorio dell’impossibile e del paranormale la cui comparsa genera ansia, confusione, attesa nel lettore. E questa attesa si protrae fino allo svelamento finale, che di solito chiude la composizione. Si tratta di una raffinata tecnica narrativa tipica del racconto (ce lo ricordava Šklovskij parlando di Čechov) e non facile da attuare, in cui tuttavia Scarcelli mostra di essere a proprio agio, scegliendo di aprire degli squarci sull’esistenza di uomini tormentati, egocentrici, solitari e alienati che fanno i conti con un mondo a loro ostile.
In alcuni pezzi poi, come nel breve racconto Birra, sembra l’autore rievocare le profezie di Orwell e Zamjatin e ci rappresenta laconicamente un futuro in cui gli spazi aperti sono soggetti al controllo dei privati e l’uomo compie in tunnel sotterranei le azioni della sua triste quotidianità. Stiamo davvero parlando di un futuro immaginario? Forse no, ci dice Scarcelli, per il quale siamo imbrigliati in una fitta rete di meccanismi che si ripetono fino all’ossessione, ma da cui è impossibile uscire, poiché qualsiasi interruzione non sarebbe sano sintomo di discontinuità, ma fase propedeutica a un nuovo percorso verso l’alienazione: ecco dove sta il “piccolo” guasto alla centrale del tempo. Non esiste una morte che poi dà vita a una rigenerazione, ma solo una nauseante e chiusa ciclicità, un idillio invertito: la fenice non può rinascere dalle proprie ceneri, perché è condannata a una improduttiva vecchiaia. D’altra parte L’egoista immortale dell’omonimo racconto, uno di quelli che più esprime la sensibilità del realismo magico, capisce solo dopo aver acquisito il dono della vita eterna quanto sia bella e giusta la morte.
E da questo circolo vizioso, l’uomo non è in grado di uscire se non rassegnandosi, come d’altra parte fa l’eroe del racconto che apre la raccolta, Il cliente è sempre cannibale. Qui egli naviga nel mare del lavoro precario, tra call centers e aziende che vendono improbabili prodotti per il miglioramento dell’apprendimento a voraci e presuntuosi clienti. Questi “cannibali”, con la pretesa di ottimizzare la spesa che sostengono per acquistare inutili prodotti, arricchendo così imprenditori senza scrupoli, si attaccano come sanguisughe al dipendente, ossessionandolo al telefono, cercandolo anche a casa, disturbando la sua convalescenza oppure i suoi momenti conviviali nel (poco) tempo libero di cui egli dispone. Quando i personaggi di Scarcelli tentano di guardare oltre, di progettare uno spazio creativo, di riparare il guasto alla centrale del tempo, sono destinati a fallire: chi si ribella viene emarginato, come il passeggero di Un’ora nel treno, che svegliato all’improvviso dal controllore per la verifica del biglietto, vede proprio nella realtà cominciare il suo vero incubo. Tutti parlano improvvisamente una lingua che egli non conosce, lo stupore si trasforma in sospetto, questo in paura, ma il tentativo di darsi una spiegazione e aderire a quello che gli pare un grande scherzo sortisce un destino fatale.
Talvolta, come negli ultimi tre racconti, si attiva un percorso verso la catastrofe, ma non in virtù di un evento impossibile, bensì sulla base di circostanze “curiose”, come un’oscura esclamazione, uno scambio di persona, una malattia particolare. Siamo al di qua della linea che ci separa dal fantastico. Non c’è più, infatti, l’uomo che nell’Egoista immortale ci regalava la vita eterna con una stretta di mano, né il controllore che d’improvviso parlava una lingua ignota. Troviamo invece in una patologia nervosa (La memoria) e nella frase ambigua pronunciata da una prostituta brasiliana (Un incontro incancellabile) il pretesto per entrare nelle incomprensioni della vita matrimoniale. Con stile raffinato e sobrio, ricostruendo in una cornice assai realistica quel dialogo serrato tra marito e moglie che preannuncia la crisi di una relazione, Scarcelli si insinua nelle pieghe di due rapporti che inizialmente sono stabili, ma che l’evento magico conduce a un punto di rottura quasi fatale. E anche in questo caso il lettore resta in attesa che la situazione si smuova, che la centrale del tempo si riattivi, ma l’ultimo racconto (che con il primo è il più lungo della raccolta, quasi a insistere su questo senso di circolarità) termina con una scena di profonda solitudine che un Incontro incancellabile ha lentamente prodotto. La gelosia di un marito, alimentata da un’oscura sentenza che evoca i tradimenti di sua moglie, pronunciata da una prostituta brasiliana che a Milano aveva tentato di sedurlo, porta il protagonista verso una discesa agli inferi da cui non solo non c’è risalita, ma nemmeno quella catastrofe che potrebbe presagire a un nuovo inizio del ciclo temporale: “Corrado non sentì più nulla, tranne il proprio respiro. Cercò almeno di capire dove fosse finito, ma poi si rassegnò in quell’improvviso silenzio, e non gli rimase che sedersi e aspettare”. Ormai è chiaro, il meccanismo che presiede al funzionamento della centrale si è definitivamente inceppato e la terra è sempre più desolata.