Tempo di lettura: 2 minuti
Offre spunti misteriosi e interessanti la carriera di Francesca Lago. Dopo un avvio costellato di autorevoli collaborazioni (Marc Ribot, Eugenio Finardi e Carmen Consoli), un arcano ritiro dalle scene la tiene nell’ombra per oltre un decennio. Riappare oggi con Siberian Dream Map, primo vero full-length dai tempi di Mosca Bianca (1997). Dodici brani cantati in inglese e musicati con strumenti che tengono bassa la soglia dei decibel per sottolineare, tra impeto e quiete, una voce duttile. Il violoncello del ticinese Zeno Gabaglio, stretto collaboratore della Lago in questi ultimi due anni, è elemento stilistico che aggiunge profondità classica a questa versione cantautorale della popular music. Morbidi arpeggi di chitarra e ritmi blandi si incrociano al profondo registro dello strumento ad arco, formando un guscio che protegge testi introspettivi, immagini concrete e raffigurazioni simboliche che si lasciano domare in una veste inconsueta.
L’aspetto itinerante della carriera di Francesca – finalista, tra l’altro, al UK Songwriting Contest 2009 con Black Thoughts – porta in dote un bagaglio musicale che la invoglia a stravolgere il repertorio compositivo: libere da suoni aspri, le liriche si assestano tra influenze di suoni mitteleuropei e derivazioni jazz. Anche la rinuncia all’italiano, in favore dell’inglese, sembra una scelta che riscuote un credito nelle potenzialità esportabili di questa proposta musicale. Leech, già presentata al celebre Montreux Jazz Festival, ne è esempio lampante. I thought you where an inoffensive animal/ and therefore I granted your request/ I did open my veins for you canta la Lago tra rabbia e rimpianto. Di ben altra matrice è l’incedere incalzante di Slapstick, brano da cui è stato tratto un video notturno, in tema con un testo pervaso dall’oscuro presagio (Sitting near the back door of the devil’s house/ the big mess has begun). Oscuro come il colore che ammanta la copertina. Dal buio affiora il primo piano della musicista che offre il profilo ai tre colori primari, come a voler rimarcare il contenuto di un album che offre un ritratto originale, tra il misterioso e l’essenziale.
[wp_youtube]Ps17hs_Yolc&feature=youtu.be[/wp_youtube]