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Durante uno degli incontri organizzati a Torino da Biennale Democrazia dal titolo “Il benessere come diritto e come ossessione”, è intervenuta come relatrice la filosofa Michela Marzano. Docente ordinaria all’università di Paris 5 René Descartes si occupa di filosofia morale e politica, le Nouvel Observateur l’ha definita una dei cinquanta pensatori più influenti in Francia.
Diversi suoi libri hanno come tema il corpo, ad esempio “La filosofia del corpo” o il recente “Sii bella e stai zitta”, analisi in cui il corpo dischiude le nuove simbologie e le ambivalenze della civiltà occidentale nelle rappresentazioni di senso e di valore.
Come è mutata la percezione del corpo, divenuto oggi così partecipe delle nostre ossessioni ?
Il tema del corpo non è mai stato un tema facile, su cui ci fosse consenso; perché è il modo visibile con cui gli esseri umani incontrano gli altri, è un medium, è ciò attraverso cui ci si rende visibili agli altri. Anche se per secoli il corpo è stato qualcosa da mettere tra parentesi, perché l’essenza umana era altrove, era nell’anima, nel pensiero.
Eravamo più platonici?
Si, platonici cartesiani, poi con la rivoluzione fenomenologica, all’inizio del XX secolo, tutta l’importanza è stata trasferita al corpo come soggetto, ossia ciò attraverso cui ognuno di noi è soggetto della propria vita, in particolare con Merleau Ponty si è cercato di andare oltre il dualismo, infatti egli spiega il corpo come rappresentazione esterna dell’anima: non c’è dualismo ma c’è articolazione tra l’essere e l’apparire. Quello a cui si è assistito in questi ultimi anni è una banalizzazione del corpo, invece di dare al corpo il suo spazio di espressione, di espressione del desiderio, diceva Spinoza “il desiderio è l’essenza dell’uomo”, invece di dargli questo spazio lo si è progressivamente ridotto a gingillo; se ne parla moltissimo, ci si concentra su di esso per modificarne l’apparenza, lo si usa lo si cambia, come fosse un vestito, si usa per mostrare o per rappresentare qualcosa, è divenuto solo uno strumento ad uso e consumo, una merce tra le altre.
Crede che ciò sia capitato anche nel mondo delle arti?
Forse il mondo dell’arte è quello che ha resistito di più, e meglio. Credo che nell’arte non ci sia la stessa banalizzazione, perché lì il corpo è ancora opera. Ha ancora un valore.
E la famiglia?
La famiglia in Italia è rispetto alla Francia è qualcosa di diverso. In Italia sopravvive un modello molto tradizionale, siamo attualmente in presenza e in elogio della classica famiglia cattolica con un rifiuto categorico ad aprirla e a modificarla, come nel caso dell’inseminazione eterologa o dei temi bioetici.
Vige ancora il modello soffocante di una famiglia naturale, non per nulla coloro che invocano la sacra famiglia naturale dovrebbero rileggere i testi dei vangeli per rendersi conto che Gesù nasce da una donna vergine, mai sposata, e Giuseppe non era il vero padre naturale. A fronte di questo modello, fa da contraltare che chi se lo può permettere fa quello che vuole, si vedano i viaggi nei paesi dove alcune pratiche di fecondazione sono consentite. Ma questo crea dei problemi, e rinforza le ingiustizie.
Si dovrebbe rivedere il concetto stesso di famiglia, cosa si può intendere oggi per famiglia, paternità, maternità.
Secondo lei la generazione dei 40enni ha compiuto scelte più libere rispetto al presente?
Si era in un momento particolare, si aveva la sensazione di poter essere più liberi, le circostanze storiche facevano presagire un certo ottimismo; la liberazione sessuale, la scoperta di una possibile uguaglianza tra uomini e donne. Poi pian piano abbiamo visto che erano delle pie illusioni, una parità che non è mai divenuta effettiva, un ritorno indietro a degli stereotipi che si pensavano superati, una difficoltà sempre maggiore per i giovani di inserirsi nel mondo del lavoro. Chi oggi ha vent’anni è veramente spiazzato da una gerontocrazia inamovibile.
Cosa pensa oggi dell’Italia vista dall’osservatorio di una grande capitale?
Da un lato provo una forte nostalgia, per la mia lingua per la cultura, per un paese che amo, dall’altro un sentimento di tristezza infinita quando guardando l’Italia dall’esterno mi sembra che sia diventata incapace di aprirsi e di guardare quello che accade altrove, come se tutto si giocasse sulla scena di un teatrino in cui i personaggi si sentono tutti molto importanti perché non sono consapevoli di essere solo personaggi all’interno di un teatrino.
Confondono il destino del mondo con il rumore del mondo?
Sopra ogni cosa emerge il provincialismo della classe politica e dirigente dell’Italia, non si rendono minimamente conto dell’immagine che stanno dando del proprio paese all’estero; quando discuto, in Francia, mi rendo conto che c’è uno sguardo di assoluto sbigottimento quando si parla dell’Italia, e l’unica domanda che mi fanno è perché gli italiani si sono ridotti a divertirsi con le barzellette di Berlusconi, qui non c’è davvero nessuno che ne ride, nessuno si diverte.