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Sta iniziato ieri a Catania il festival internazionale Di_stanze 2011 che già sta catalizzando gli addetti ai lavori e i tantissimi appassionati e musicisti italiani per una tre giorni di incontri musica, lezioni-concerto che si alterneranno il anche oggi 13 e 14 aprile. Noi di LSDmagazine siamo media partner, quindi seguiremo di giorno in giorno l’evolversi degli incontri e delle manifestazioni. A tal proposito abbiamo posto alcune domande al compositore Franco Degrassi ospite in una delle giornate. Durante gli incontri saranno invitati virtualmente autori nazionali ed internazionali attraverso collegamento Skype.
La tecnologia è in continua evoluzione e la musica elettronica si alimenta con essa. Quindi, il continuo mutamento porta un continuo cambiamento di regole, schemi e teorie. Le classi di musica elettronica dei Conservatori italiani, nel corso di un ventennio, si sono evolute modificando spesso i programmi didattici. Lei da docente/compositore, come si pone rispetto alla tecnologia e rispetto alla programmazione didattica?
Insegno da pochi anni in Conservatorio, in precendenza ho lavorato per 20 anni nelle scuole medie ad indirizzo musicale come docente di pianoforte. Quindi posso esprimere una opinione limitata ad un periodo abbastanza breve rispetto a colleghi che hanno una esperienza ben più lunga ed approfondita. Detto questo per onestà e completezza, io ritengo che il discorso sul rapporto tra tecnologie e programmazione didattica sia assai complesso. In estrema sintesi mi sembra che bisogna evitare due opposti errori.
Da un lato una sorta di "religione positivista" per cui il ruolo dell’artista sarebbe quello di mettersi in perenne attesa o addirittura agitarsi di continuo alla ricerca di nuove soluzioni tecnologiche ( hardware, software ecc.) senza le quali ogni espressione di creatività sarebbe monca.
Al contrario io penso che debba orientare la nostra azione un consapevole "senso del limite" ed un pensiero volto a stimolare, anche nell’arte oltre che nel complesso della vita sociale, stili di consumo ( di tecnologie) e di produzione ( di opere) basati sul risparmio, sul riciclaggio, sulla sobrietà.
Ciò non significa, questo sarebbe l’errore opposto, rifiutare in modo aprioristico l’uso delle tecnologie in nome magari del "buon tempo che fu" e di un sapere musicale basato soltanto sulla "scrittura" tradizionale.
Una strada possibile per uscire da opposti paralizzanti potrebbe essere quella di mettere al centro il "valore d’uso" dell’opera musicale, e quindi il piacere dell’ascolto ( piacere inteso in una dimensione la più larga ed articolata possibile). E quindi basare sul giudizio decisivo dell’ascolto ogni scelta tecnologica. Per fare un esempio se con un microfono da 50 euro si possono produrre suoni più emozionanti rispetto a quelli generati dall’ultima workstation di moda, beh, allora "vada per il microfono ".
La musica francese ha avuto una crescita e un movimento che partendo dagli spettralisti e ancor prima da Messiaen ha condensato con la musica elettroacustica una linea che pare omogenea. Esattamente, come la musica di tradizione popolare!
In Italia partendo da Berio, Lei pensa che ci sia lo stesso movimento unitario? Diversamente, qual’è la situazione elettroacustica italiana?
Io ricavo dell’esperienza francese un’altro tipo di riflessione. La Francia è il paese in cui si manifesta nel modo più trasparente una biforcazione tra due differenti "vie" elettroacustiche: la strada dell’arte acusmatica (essenzialmente ma non esclusivamente con l’esperienza del Grm) e la strada della musica elettroacustica dal vivo ( in modo analogamente non esclusivo attraverso l’Ircam).
Questa biforcazione "storica", in un primo momento vissuta come una contrapposizione tra "estetiche" diverse, in realtà – a mio modesto avviso- ha soltanto segnalato il primo passo di una assunzione di consapevolezza di sè da parte di arti sonore differenti, non "in contrapposizione".
Se la musica elettroacustica dal vivo si colloca, a mio parere, nel contesto delle arti performative come sottoinsieme della musica voxale-strumentale da concerto, la musica acusmatica – in mdo differente- può essere considerata far parte delle arti su supporto.
Sto usando come parametro centrale per la classificazione le modalità di consumo del suono: nella musica "performativa" il suono è anche spontaneamente e direi necessariamente "visto" dal pubblico come effetto di una azione di uno strumentista; nella musica acusmatica gli occhi possono essere tranquillamente chiusi in un’"ascolto cieco". Quindi, ancora una volta, non è la tecnologia ( elettroacustica) che mi deve dare la rotta; ma le modalità di fruzione umane.
A metà degli anni’70, per tornare alla domanda posta, in Francia è evidente che esistono due arti sonore differenti, l’acusmatica e la musica elettroacustica dal vivo, talora frequentate dai medesimi artisti, più spesso no. E dalla metà degli anni ’60 l’acusmatica conosce una sorta di "periodo classico" con l’emergere di autori come Parmegiani, Bayle, Ferrari oltre al riconfermarsi di Henry.
In Italia invece l’arte acusmatica, nello stesso periodo, comincia a deperire. Non è possibile qui affrontare i motivi di tale decadenza. Il dato di fatto è che la musica elettroacustica performativa
avrà poi in Nono il suo grande protagonista italiano. Mentre l’acusmatica italiana, temo, in quegli non prenderà neanche coscienza di sè, vivendosi al più come "radiofonica". Lo stesso termine "acusmatica" avrà scarsissima diffusione in Italia e tornerà in auge, credo, nella seconda metà degli anni ’90, un po’ come fenomeno di importazione. In realtà l’acusmatica italiana degli anni ’80 coinciderà con la computer music "su nastro". Mi fermo qui. Spero di non essere stato troppo superficiale.
Oggi, lo spazio è considerato parametro strutturale alla composizione. Infatti, sempre più spesso, i brani sono composti per 4, 8 o più canali. Pur tuttavia, la realizzazione dello spazio sonoro è fortemente compromessa da uno spazio architettonico non adeguato. Un esempio perfetto di sinergia tra spazio, ascolto e composizione è stato la realizzazione del Padiglione Philips (1958) con l’esecuzione del brano Poeme Electronique di Edgar Varèse.
Secondo lei, quale può essere un buon compromesso?
Io credo che il problema dello spazio possa essere affrontato sotto due aspetti differenti: lo spazio come elemento nel quale il suono SI MUOVE. In questo primo aspetto il movimento e la posizione del suono nello spazio diventano uno dei parametri compositivi su cui lavorare.
Ma esiste un secondo aspetto che è quello che più mi interessa. Il modo con cui il suono"RIEMPIE" lo spazio, il "rilievo" che esso ha. A partire da questa distinzione bisogna scegliere se lavorare su opere fisasate su più "tracce" ( ognuna delle quali sarà assegnata ad un differente canale di diffusione) o se lavorare su opere "stereofoniche" che poi vengano in qualche modo "rioorchestrate", su un sistema di diffusione del suono multicanale come l’acusmonium, da un interprete specializzato ( e/o dal compositore stesso); o ancora su una mediazione tra questi due differenti approcci.
Il compositore nel realizzare un’Opera elettroacustica ha una cura del suono estremamente raffinata. Oggi, si complica per la commistione con il video.
Internet, con i suoi canali più diffusi: YouTube e lo streaming in tempo reale, da un lato presenta un’arte assai rara negli ambienti televisivi, dall’altro, ne falsa le qualità intrinseche del suono/video rispetto alla sala da concerto. Lei, da compositore, come si pone rispetto a questo cambiamento?
Che fare? L’opera è "perduta" dal momento in cui il file digitale è passato in mani diverse da quelle dell’autore, in una forma o nell’altra.
Quello che credo sia da moltiplicarsi sono le occasioni di ascolto pubblico comune delle opere acusmatiche, come quella che voi state organizzando con di_stanze, come forma di contatto, di educazione del pubblico e, al contempo, di verifica sociale dell’attività del compositore. Un grazie a voi, quindi, per concludere.