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Sta per iniziare a Catania il festival internazionale Di_stanze 2011 che catalizzerà gli addetti ai lavori e i tantissimi appassionati e musicisti italiani per una tre giorni di incontri musica, lezioni-concerto che si alterneranno il 12, 13 e 14 aprile. Noi di LSDmagazine siamo media partner, quindi seguiremo di giorno in giorno l’evolversi degli incontri e delle manifestazioni. A tal proposito abbiamo posto alcune domande al compositore Andrea Arcella ospite in una delle giornate. Durante gli incontri saranno invitati virtualmente autori nazionali ed internazionali attraverso collegamento Skype.
La tecnologia è in continua evoluzione e la musica elettronica si alimenta con essa. Quindi, il continuo mutamento porta un continuo cambiamento di regole, schemi e teorie. Le classi di musica elettronica dei Conservatori italiani, nel corso di un ventennio, si sono evolute modificando spesso i programmi didattici. Lei da docente/compositore, come si pone rispetto alla tecnologia e rispetto alla programmazione didattica?
Credo che vadano colte tutte le opportunità della tecnologia a meno che non ci si riduca al mero consumo. L’industria dell’hardware e del software musicale sforna prodotti in continuazione con una logica che generalmente soddisfa le necessità di produzione "rapida" della musica mainstream. Molto spesso i software e gli hardware recenti tendono a mascherare la complessità dei processi di generazione/manipolazione del suono sottostanti per consentire una produzione musicale che ha il ritmo della catena di montaggio. Se si diventa schiavi di un plugin di sintesi o di un editor grafico perchè non si è capaci di governare le tecniche di analisi e sintesi del suono vuol dire che si è abdicato al principio base della musica elettronica ovvero la libertà di manipolare coscientemente il suono stesso; in sostanza diventiamo delle macchine capaci di produrre ciò che l’industria vuole che si produca. Dal punto di vista didattico ritengo quindi che sia indispensabile l’insegnamento della sintesi con software come Csound (o Supercollider) o la realizzazione di sistemi in tempo reale con applicazioni come Pure Data. Solo con questo tipo di approccio si raggiunge una padronanza delle tecniche in questione. Poi ciascuno userà i prodotti e le scorciatoie che meglio crede ma solo a patto che non rinunci mai al controllo dei mezzi impiegati.
La musica francese ha avuto una crescita e un movimento che partendo dagli spettralisti e ancor prima da Messiaen ha condensato con la musica elettroacustica una linea che pare omogenea. Esattamente, come la musica di tradizione popolare! In Italia partendo da Berio, Lei pensa che ci sia lo stesso movimento unitario? Diversamente, qual’è la situazione elettroacustica italiana?
Se per unitario si intende un’unità di stili compositivi, di scuole condivise, di filosofie comuni penso che la risposta sia negativa. Le cause sono da ricercare nelle diverse politiche culturali adottate dai due paesi sia nel passato che in tempi recenti. E’ chiaro che la costruzione di grandi centri ben finanziati dallo stato favoriscono la formazione di leader e di scuole condivise perchè sono attrattori per le nuove generazioni. Certamente è un male il fatto che la musica contemporanea in Italia sia sottofinanziata e non ci sia la possibilità di avere centri come l’IRCAM, il GRM etc.
Se poi la frammentazione italiana sia un bene o un male è un altro discorso. In generale penso che la diversità sia ricchezza; quando assisto ai festival che coinvolgono compositori provenienti da vari regioni e mi rendo conto che ciascuno è portatore di eredità culturali diverse trovo che lo scambio sia molto più interessante.
Oggi, lo spazio è considerato parametro strutturale alla composizione. Infatti, sempre più spesso, i brani sono composti per 4, 8 o più canali. Pur tuttavia, la realizzazione dello spazio sonoro è fortemente compromessa da uno spazio architettonico non adeguato. Un esempio perfetto di sinergia tra spazio, ascolto e composizione è stato la realizzazione del Padiglione Philips (1958) con l’esecuzione del brano Poeme Electronique di Edgar Varèse.
Secondo lei, quale può essere un buon compromesso?
Il compositore deve tener conto dello spazio sonoro in cui vivono le sue opere. Questo dato è vero anche per composizioni stereofoniche. D’altre parte, almeno da noi, non è per niente semplice accedere a strutture che offrano possibilità di spazi architettonici come quelli a cui fai riferimento. Questa situazione influenza necessariamente l’attività compositiva: è ovvio che sarò poco stimolato a comporre un’opera che abbia scarse (o nulle) possibilità di esecuzione. Anche qui però voglio portare un po di ottimismo: se il compositore ha la possibilità di confrontarsi con gli spazi che dovrà usare (anche spazi molto modesti e con acustica scadente) può comporre o modificare o fare una regia che si avvantaggi di situazioni considerate normalmente avverse. A questo aggiungerei un osservazione: ho assistito a casi in cui un’offerta tecnologica è stata male usata; in un festival elettroacustico infatti ho sentito esecuzioni di composizioni con l’ausilio di subwoofer che evidentemente non era stato previsto dai compositori. Il risultato è stato ovviamente pessimo con frequenze basse impastate che sbilanciavano l’intero mix. Come si vede talvolta "less is more"!
Il compositore nel realizzare un’Opera elettroacustica ha una cura del suono estremamente raffinata. Oggi, si complica per la commistione con il video.
Internet, con i suoi canali più diffusi: YouTube e lo streaming in tempo reale, da un lato presenta un’arte assai rara negli ambienti televisivi, dall’altro, ne falsa le qualità intrinseche del suono/video rispetto alla sala da concerto. Lei, da compositore, come si pone rispetto a questo cambiamento?
I casi sono due: o progetto un’opera pensata per essere diffusa tramite canali "a bassa fedeltà" e quindi sfrutto i limiti a mio vantaggio o faccio presente a chi mi ascolta che ciò di cui sta fruendo può avere un mero valore documentale ma non restituisce fedelmente l’dea compositiva.
Foto di Gigi Peluso