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Uno dei pochi uomini liberi dell’Italia è stato sicuramente il grande scrittore, giornalista e caricaturista Giovannino Guareschi. Emiliano di nascita, ha sempre mantenuto fervido il suo legame con i luoghi natii. La sua satira era polemica, sferzante, ironica, difficile che non colpisse nel segno. L’incontro che ha cambiato la sua vita è stato quello con Cesare Zavattini nel 1922 che lo chiamò a collaborare al Corriere Emiliano .
Nel 1934 partì per il servizio militare come Allievo Ufficiale. Finito il corso fu inquadrato come Sotto-Tenente di Complemento e trasferito a Modena nel 1936. Cesare Zavattini, però, lo convocò a Milano ove aveva assunto la direzione di un nuovo giornale umoristico “Il Bertoldo” edito da Rizzoli.
Il Bertoldo fece cambiare la vita di Guareschi, la tiratura e la diffusione fu notevolissima, tanto da diventare il primo periodico satirico d’Italia. Nel 1938 il suo nome figurò tra i firmatari del Manifesto degli Intellettuali Fascisti a sostegno delle Leggi Razziali, tra essi Norberto Bobbio, Amintore Fanfani, Giorgio Bocca, Giorgio Almirante, Pietro Ingrao, ecc., al quale si contrappose il Manifesto degli Intellettuali Anti-Fascisti promosso da Ernesto Rossi, Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Giovanni Amendola, ecc..
Guareschi dichiarò nel dopo-guerra di non aver mai firmato tale Manifesto, e di essere stato inserito a sua insaputa. A sostegno di tale tesi affermò che essendo Monarchico ed avendo il Re, per ben due volte, rifiutato la firma di promulgazione delle Leggi “per la difesa della razza”, egli avrebbe sostenuto le posizioni del Re Vittorio Emanuele III. Garantendo la sua contrarietà ferma e decisa contro ogni forma di razzismo.
Durante la guerra, “Il Bertoldo” cessò le pubblicazioni e Guareschi fu arrestato per aver offeso pubblicamente il Duce. In alternativa alla pena fu obbligato a partire per il fronte come Ufficiale di Artiglieria. Con l’Armistizio dell’8 Settembre 1943 fu inviato nei campi di campi di concentramento nazisti in Polonia prima e poi in Germania, dove furono internati altri militari italiani che si erano dichiarati fedeli al Re.
Nel 1945, tornato in Italia fondò “Il Candido”, rivista satirica con dichiarate simpatie monarchiche. Infatti a seguito del Referendum Istituzionale del 2 Giugno 1946 denunciò apertamente brogli elettorali e, soprattutto, la promulgazione della Repubblica senza che fosse stato mai completato il conteggio definitivo delle schede e dei voti. Peraltro, tra il 1945 ed il 1946 denunciò ed ironizzò per tutti quegli atti del Governo in carica che considerava troppo tesi a favorire l’avvento di una forma Repubblicana dello Stato.
Non risparmiava dalla sua satira alcun esponente politico, ma in particolare preferiva colpire il Partito Comunista Italiano ed il suo leader, Palmiro Togliatti. Evidenziò come l’elettore del PCI era in realtà succubo del Partito e delle direttive del Cremlino. Togliatti inveì definendolo “tre volte idiota”.
Nel 1948 alle elezioni del 18 aprile si impegnò per favorire la vittoria della coalizione DC-PLI-PRI-PSDI affondando colpi contro il Fronte Popolare PCI-PSI. All’indomani della costituzione del nuovo Parlamento e del nuovo Governo, iniziò a colpire in particolare la Democrazia Cristiana.
Fu querelato nel 1950, in quanto direttore de “Il Candido”, dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, per la ironia con cui era stata pubblicata la notizia relativa alla indicazione della carica ricoperta sulle etichette delle bottiglie di vino prodotte dalla sua Azienda Vinicola. Il Tribunale lo condannò a otto mesi di carcere condizionale per vilipendio al Capo dello Stato. Pur essendosi dichiarato pubblicamente monarchico, Luigi Einaudi non fu risparmiato dalle critiche e dall’ironia di Guareschi.
Nel 1954 toccò ad Alcide De Gasperi, questa volta non fu la satira o l’ironia, ma la pubblicazione delle lettere autografe che De Gasperi aveva personalmente scritto durante la seconda guerra mondiale, nel 1944, agli Alleati Anglo-Americani, consigliando di bombardare le periferie romane per accrescere il malcontento popolare e demoralizzare gli occupanti tedeschi. Pur in presenza di una perizia calligrafica del Tribunale di Milano che confermava l’autenticità, Guareschi fu condannato a dodici mesi di carcere essendo ritenute inutili le perizie presentate dal suo avvocato e considerata sufficiente la dichiarazione di falsità del Presidente De Gasperi.
Guareschi non propose appello, ritenendo palesemente ingiusta la Sentenza. Trascorse oltre 400 giorni in carcere. Il caso più eclatante di un giornalista condannato ed incarcerato in Italia.
Successivamente altri giornalisti furono condannati per reati commessi a mezzo stampa, ma hanno evitato il carcere candidandosi al Parlamento e godendo della relativa Immunità prevista dalla Costituzione Italiana fino al 1992. L’episodio più noto è quello dei giornalisti Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi condannati per aver pubblicato notizie e commenti relative al presunto “Piano Solo” predisposto nel periodo 1963-1964 dal Presidente della Repubblica Antonio Segni e dal Comandante dell’Arma dei Carabinieri gen.Giovanni De Lorenzo, per un ipotetico colpo di Stato. Il Gen.De Lorenzo e l’ex Presidente Segni, costretto alle dimissioni anche a causa di un ictus subito nell’estate del 1964 durante un acceso incontro con il Presidente del Consiglio in carica Aldo Moro ed il suo vice Giuseppe Saragat, furono scagionati in tutti i gradi di giudizio. Scalfari e Jannuzzi furono, invece, condannati per diffamazione a mezzo stampa, ma evitarono il carcere in quanto candidati ed eletti nel 1968 al Parlamento nelle file del Partito Socialista Italiano, al quale evidentemente avevano reso un servizio prezioso. Successivamente Jannuzzi fu a lungo latitante in Francia, e poi il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi lo graziò.