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Una leggenda molto poco metropolitana racconta di un giovane pastore protestante inglese, nato a Salford nel 1806, che alla tenera età di appena 17 anni, nel corso di una partita di football decise improvvisamente di prendere con le mani la palla dal campo di gioco e di cominciare a correre verso la porta avversaria: era la nascita del rugby e quel giovane – William Webb Ellis – oggi presta il suo nome al Campionato Mondiale di Rugby.
E nonostante questa tesi non piaccia molto alla Federazione Internazionale che mai con i suoi ricercatori e storici è riuscita a dimostrare la veridicità dei fatti, ai giovani appassionati di questo incredibile ed affascinante sport piace pensare che il tutto sia abbia avuto inzio con il cuore e con il coraggio di andare avanti contro le regole.
E mentre il buon William – dall’alto dei cieli – si gode la notorietà contemporanea ed una bellissima statua ad honerem conferitagli dalla ridente cittadina di Rugby nel Warwickshire, in Inghilterra, questo sport comincia a tracciare inesorabilmentela sua storia.
“Il rugby è un gioco bestiale giocato da gentiluomini”: con questo aforisma – efficace e divertente – il giornalista e sportivo americano Henry Blaha offre una perfetta sintesi descrittiva di quello che – seppur ancora sconosciuto a molti – rappresenta una vera propria disciplina sportiva, anzi – come direbbero i tecnici – uno sport di contatto e di situazione. E’ uno sport – cioè – nel quale non conta soltanto la dotazione fisica necessaria per fronteggiare la mole dell’avversario in un costante corpo a corpo, ma anche la tecnica per gestire i diversi ambiti e momenti del match; per capire quando arriva il momento di difendersi e come dalla difesa passare all’attacco.
Uno degli aspetti più belli di questo sport è il famoso “terzo tempo” che si consuma a fine gara: una delle tradizioni più significative del rugby. Inizia con il fischio dell’arbitro che conclude la partita. Da qul momento le due squadre mettono da parte la rivalità e, spesso dopo il campo e lo spogliatorio la partita finice al ristorante o al pub. Forse rappresenta il vero spirito del rugby.
In Gran Bretagna l’usanza è quella di concludere i match nelle Club House del team ospitante, fornitissimi pub privati nelel vicinanze dei campi da gioco. In queste occasioni si crea una forte legame fra giocatori di squadre diverse che culmina spesso in amiciczie durature.Anche i tifosi partecipare a questa festa, in modo da eliminare le distanze che si creano tra spalti e il campo, come invece accade nel calcio dove i giocatori spesso paiono inavvicinabili
E proprio nella perciolosità del contatto che si verifica nel corso del gioco che risiede la severità delle regole con cui le Federazioni Nazionali cercano di disciplinare il tutto; l’idea – poi diventata pratica – di utilizzare una palla ovale, nacque dalla esigenza di trasformare la trasgressione del giovane William in un nuovo sport; si rese necessario utilizzare una palla che fosse davvero difficilmente controllabile con i piedi per non correre il rischio di “tonare” al calcio giocato.
Il rugby si sviluppò nel mondo anglosassone che si espanse in gran parte dell’emisfero Australe, e sin dal 1888 emersero le grandi capacità della squadra dei Maori, successivamente chiamati “All Blacks” neozelandesi e degli Springboks sudafricani.
Per decenni il rugby è stato giocato giocato a livelli elevati ma solo per divertirsi, senza scopo professionistico, caratteristica di questo Sport che arriverà molto più tardi rispetto altre discipline agonistiche. In Italia il rugby fece la sua apparizione nel primo decennio del secolo ed è del 1929 la nascita della FIR – Federazione Italiana Rugby. La nascita del rugby in Italia va collocata tra il 1890 ed il 1895 a Genova per merito della comunità inglese. La prima partita di rugby in Italia fu incontro dimostrativo giocato nel 1910 a Torino tra il Racing Club de Paris e il Servette di Ginevra.
La prima partita disputata da una squadra italiana venne giocata l’anno seguente, il 2 aprile, a Milano tra l’US Milanese e i francesi del Voiron.Il 25 luglio venne istituito il “Comitato di propaganda” che in seguito, il 28 settembre 1928 , sarebbe diventato la “Federazione Italiana Rugby” (F.I.R.). Il primo campionato italiano si svolse nel 1929 e comprendeva sei delle sedici squadre attive in Italia: fu vinto dall’Ambrosiana Milano. Il 4 settembre 1933, a Torino, l’Italia partecipa alla fondazione della FIRA (Féderation Internationale Rugby Amateurs) insieme a Francia, Spagna, Cecoslovacchia, Romania e Germania. Sarà con questi paesi che l’Italia avrà rapporti internazionali prima della Seconda guerra mondiale. Nessun contatto con i britannici. Milano e Roma diventarono grandi centri rugbistici italiani, ma si giocava anche a Torino, Bologna, Padova, Napoli, Genova, Brescia, Treviso, Rovigo, Parma. Conclusa la guerra, il rugby italiano scoprì una nuova dimensione, grazie in particolare agli insegnamenti delle truppe alleate di stanza in Italia. I soldati sudafricani, neozelandesi, inglesi e australiani diventarono i maestri del nuovo rugby italiano, ma l’Italia resterà sempre legata al modello francese, almeno fino ai primi anni ‘70. Gli alleati rafforzarono il rugby nella provincia italiana e saranno città come Parma, Rovigo, L’Aquila, Padova e Treviso a dominare la scena interna e i campionati a venire.
Nel 1973 l’Italia effettua la prima grande tournée in Sudafrica, diretta dall’ex pilone Springbook Amos Du Plooy. Seguono i viaggi in Inghilterra e Scozia e l’intensificarsi dei rapporti con l’Australia e la Nuova Zelanda. Poi tours in Nuova Zelanda e Fiji (1980), Australia (1981), Zimbabwe, Canada, Stati Uniti e ancora In Australia (1986), fino alla prima Coppa del mondo nella quale l’Italia incontra, perdendo, Nuova Zelanda e Argentina, e viene esclusa dai quarti di finale per differenza mete, nonostante la vittoria sulle isole Fiji. L’Italia ha partecipato alla Coppa del mondo 1991, 1995, 1999, 2003 e 2007. Dal 1994, guidata da Georges Coste, la Nazionale azzurra ha ottenuto importanti risultati che le hanno aperto (16 gennaio 1998), sotto la presidenza di Giancarlo Dondi, le porte del Cinque Nazioni, diventato Sei Nazioni dal 2000, attualmente la competizione internazionale più importante.
Anche la città di Bari da oltre 31 anni segue attentamente questo universo attraverso l’Associazione Sportiva Rugby Bari.Nata nel 1980 grazie ad un piccolo gruppo di appassionati – pur con notevoli carenze economiche – ha raggiunto grandi successi ed attualmente, nell’ambito di una disciplina sportiva che viene praticata e seguita principalmente nel nord-est della penisola, è una delle squadre più rappresentative dell’Italia meridionale. A tutto ciò va aggiunto il cambio di dirigenza che, dal 1997, vede la società diretta e gestita esclusivamente dai giocatori; questi, per evitare che all’attività agonistica venisse posta la parola "fine", si sono personalmente impegnati al proseguimento e al mantenimento del movimento rugbystico nella città di Bari. Lo stemma della squadra rappresenta un tigrotto con la divisa ufficiale dell’A.S. Rugby Bari, maglia bianco-azzurra e pantaloncini bianchi, sdraiato su un campo di rugby che, con atteggiamento spavaldo e guascone, palla ovale in una mano e sigaretta nell’altra, aspetta l’avversario da affrontare. Alle sue spalle un sole a raggi biancorossi ricorda i colori della città.
Le foto delle squadre sono del rugby Bari e fornite da Luca Silecchia