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“Andate a cogliere di sulla bocca del popolo, da provincia a provincia, la parola, il motto, la immagine, il fantasma che è la testimonianza della storia di tanti secoli; potreste cogliere a volo la leggenda che da tanti secoli aleggia per entro le caverne preistoriche e i sepolcreti etruschi, intorno alle mura ciclopiche e ai templi greci, su gli archi romani e le torri feudali…”.
Con queste parole di Giosuè Carducci desidero invitarVi questa sera in un ambiente di favole e leggende, di storie di paese e narrazioni fantastiche, di racconti misteriosi e di personaggi, realmente vissuti o del tutto inventati, che, con pazienza certosina e forte attaccamento all’anima della sua terra salentina, in particolare melendugnese, per lunghi anni ha raccolto Antonio Nahi ed oggi ci offre in questa sua raccolta. E, cosa di non poco conto, alla raccolta dà un titolo, Il libro degli altri, che, pur nell’anonimato, richiama ed immortala la presenza e il prezioso ruolo di tanti custodi della cultura popolare della propria terra.
Ho conosciuto Antonio Nahi come consulente editoriale della Zane editrice di Melendugno, nel 1998, in occasione di uno dei rituali incontri poetici annuali che lui organizzava in clima di festività natalizie. Ho poi scoperto che Antonio Nahi di professione era… un vigile urbano!
Sta di fatto che la sua pratica professionale quotidiana con la gente e tra la gente costituisce una notevole parte della materia utilizzata per l’elaborazione di storie, storielle, gustosi episodi, macchiette che trovano adeguata sistemazione ed elaborazione artistico-letteraria nel Libro degli altri. Esemplari possono essere i racconti Lo strano madonnaro, Li cupetari, Il cane dei morti, La maledizione del turco. Altrettanto ragguardevole è il ruolo che occupa, come materia prima, quanto ascoltato da novellatori o recuperato per “sentito dire”, quasi episodi “vaganti” nella storia del paese, e successivamente costruiti in modo personale dall’autore: Compare Scorza e i borgagnesi, Lu fiju ‘nfascinatu, La muscia, Il male blu, Il carbonaro di Calimera.
Ma la fonte di maggior consistenza è quella che potremmo definire di natura e provenienza storica, nel senso che da quell’ambito l’autore ha tratto spunti, frammenti, motivi ai quali ha dato movenze, architettura, sviluppi ed esiti del tutto originali, grazie a quel suo particolare afflato affabulatorio che imprime alla fantasiosità del racconto un’aura di mistero, di esotico, di terribilmente insondabile e naturalmente accattivante, per cui qualsiasi esigenza di razionalità e veridicità è già esclusa in partenza. Frequenti sono i casi in cui, per nobilitare certi toponimi locali, egli imbastisce un racconto avventuroso e magico, grazie al quale acquista anima e aura di leggenda una grotta (La grotta dell’amore e molte altre), uno scoglio (Le due sorelle), una zona paludosa (I Tàmari), un’estensione boschiva (Le Cesine), una campagna (Sintinella, tra Melendugno e Torre dell’Orso).
Sembra ben chiaro, a questo punto, che il contenuto del libro riguardi prima di tutto Melendugno, la sua storia, i suoi abitanti (realmente esistiti o frutto d’invenzione), e le sue campagne e le marine. Quando si fa uso del dialetto locale, si privilegia, naturalmente, la variante melendugnese, e ciò non rappresenta alcun impedimento alla comprensione per lettori non salentini, perché al testo (o anche al semplice termine) dialettale fa immediato seguito la traduzione italiana. Va aggiunto che il libro è arricchito da documentazione fotografica originale su luoghi e personaggi che parte dagli agli anni ’40 e giunge alla fine del secolo scorso. E tutto questo può rappresentare, per chi è avanti nel tempo, un invito a ripercorrere all’indietro parte della propria vita, con qualche effetto di godimento o emozione interiore; mentre per i piú giovani, e soprattutto, per chi frequenta la scuola, il libro può divenire una piccola miniera di conoscenza e di tantissimi spunti per confronti tra epoche diverse.
Non solo. In un periodo in cui la conoscenza e lo studio delle culture locali e dei loro dialetti assurgono talvolta a questioni talmente importanti in varie parti del nostro Paese, da essere trasformate addirittura in operazioni di brutta e retrograda propaganda politica, il lavoro di Antonio Nahi si presenta nella sua semplice, variegata e affascinante forma narrativa come un gradevole coinvolgimento a conoscere e godere della non comune e assai articolata ricchezza tematica, che stimola spesso a riflessioni e approfondimenti di carattere non solo storico, ambientale e religioso, ma anche di natura profondamente morale ed umana.
In generale, la lettura si presenta semplice e spesso di tono familiare, ammiccante e avvincente. Data una veloce rassegna ai titoli nell’indice del libro e saggiatone a caso qualche breve frammento, ci si può sentire quasi attratti da un’aria insolita e fascinosa. Aria che odora di terra bruciata dal sole o imbevuta a dismisura di pioggia; che richiama campagne con l’immancabile ulivo secolare o selve della più svariata vegetazione di macchia; o ancora vasti terreni palustri trapuntati di verdi chiazze di felci primordiali, di fitti canneti e giuncaie, allietati dalla presenza canterina e ammaliante di miriadi di uccelli.
Melendugno ha ricevuto l’ambíto riconoscimento “Bandiera blu d’Europa 2010” per la qualità ambientale e di servizi concernenti le sue Marine. È evidente la prospettiva di ritorno in termini economici determinato dall’afflusso turistico nella zona, oltre alla soddisfazione degli abitanti e delle autorità locali. In tale contesto di promozione del territorio, in tale vetrina, io vedo a buon diritto la presenza produttiva e il ruolo culturalmente trainante dell’opera di Antonio Nahi.
La cultura non si mangia, la cultura non fa mangiare. Carmina non dant panem [La poesia non dà pane], piú di duemila anni fa constatava amaramente Orazio (anche se, bisogna ricordargli!, grazie alla sua poesia, e all’intelligenza di Mecenate, si era guadagnato una bella casetta! Ma qui si farebbe un altro discorso!). Questo luogo comune, da secoli in bocca di grandi e piccini che nei confronti della cultura hanno un atteggiamento di sufficienza, o, al piú (quando può tornare utile!), di semplice elemento decorativo, ecco, questo slogan oggi comincia a mostrare i suoi punti deboli. E se chi è preposto istituzionalmente alla ricerca, alla salvaguardia e alla divulgazione della cultura del proprio ambiente calcola con lungimiranza i diversi effetti benefici (non ultimi, economici) che ne derivano, non sarà poi restio ad investire congrue risorse in progetti mirati alla diffusione della cultura locale, intesa non come esclusiva ed escludente, ma come uno dei tanti preziosi tasselli che concorrono a creare quel grande mosaico linguistico-culturale italiano che fa del nostro Paese uno dei piú rari e ricchi patrimoni di civiltà del mondo.
Vorrei qui aggiungere che il lavoro di Antonio Nahi non esaurisce la materia della ricerca e dell’elaborazione dei risultati. Lo scavo nel passato e l’interrogazione scrupolosa di documenti e monumenti, lasciati da chi ci ha preceduto, rappresentano un percorso che, prima o poi, risulta remunerativo in termini di scoperte, chiarificazioni e rivelazioni spesso insospettate; ed offrono, allo stesso tempo, l’opportunità di conoscere meglio e di rinsaldare le radici della propria comunità: locale, regionale, nazionale e, perché no?, anche planetaria.
Ho iniziato il discorso con una citazione e vengo a concluderlo con un’altra, entrambe appartenenti alla medesima fonte, la « Guida allo studio delle tradizioni popolari », pubblicata a Roma, nel 1945. L’autore, Paolo Toschi, ordinario della cattedra delle tradizioni popolari presso la Regia Università di Roma, concludeva la nota introduttiva con queste parole:
« Nella tradizione popolare si rispecchiano i tratti spirituali della nostra gente, si rivela il vero volto dell’Italia. Illuminarla, questa nostra inconfondibile tradizione etnica, con tutti i mezzi offerti dalla scienza, è un dovere della nostra cultura. E ogni sforzo, anche modesto, inteso all’assolvimento di questo dovere, non potrà dirsi vano».
E davvero vano non è, a me sembra, questo non piccolo sforzo dello scrittore, poeta e… comandante della polizia municipale di Melendugno, Antonio Nahi!