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Mentre nel Vecchio Continente la tanto amata BCE è alle prese con “note operative” piuttosto importanti circa le sorti della moneta unica denominata Euro – sta decidendo cioè se eliminare dal mercato monetario i tagli in ferro più piccoli (monetine da 5 cent e da 1 cent) giusta causa alleggerimento tasche – gli americani, antesignani per eccellenza, pagano con la carta di credito sia l’irrinunciabile caffè mattutino che il quotidiano di turno alla edicola eliminando cosi a modo loro il fastidioso conio in ferro. Ebbene si: ci troviamo praticamente ai poli opposti. La FED, soprattutto nell’ultimo biennio, sta cercando di arginare la massiva diffusione del cosi detto “denaro in plastica” accusato di essere stato uno dei migliori attori non protagonisti della disfatta economica di molte famiglie americane; e anche questa appare, per certi versi, una “americanata”.E il Belpaese? Anche in Italia gli Istituti di Credito, specializzati e non, hanno avviato ormai da molti anni una campagna di “civiltà monetaria” impiegando uomini, attività, pubblicità e sforzi enormi per divulgare la cultura del “cashless”: niente contanti. Accattivanti slogan, uomini e donne seducenti, musiche che evocano i “tempi andati” ma anche promesse di poter realizzare con un semplice gesto i sogni di una vita; questo ci offre il mercato autoctono delle carte di credito. E non solo se pensiamo che tutto ciò di acquistabile on line è “fruito” dalle stesse carte. Ma quali insidie si nascondono dietro un mezzo di pagamento che in principio promette grandi aspettative? E’ indispensabile avere una carta di credito? E perchè esistono posti in cui ne accettano alcune piuttosto che altre? La prima transazione con carta di credito fu effettuata oltre mezzo secolo fa negli USA per pagare il conto di un ristorante (da cui il nome dello storico colosso del settore, Diners) e da quel momento il fenomeno è andato in continua evoluzione ed espansione. La macrofamiglia del denaro in plastica riconosce due sottoinsiemi assai variegati e complessi; da un lato le carte di credito che per oltre un ventennio hanno incarnato il ruolo di status symbol (quello di chi cioè disponeva di grandi liquidità), dall’altro le carte di debito – quali il Bancomat – attualmente passaggio obbligato per chi apre un conto corrente in banca. Queste ultime sono strumenti che sostituiscono il cash, consentono di prelevare contanti presso gli sportelli automatici (ATM) ed effettuare acquisti con addebito diretto sul conto corrente; le carte di credito – invece – oltre ad avere queste funzionalità conferiscono al titolare un diritto di credito per le spese che rientrano nel plafond mensile concordato e quelle spese saranno addebitate sul conto corrente soltanto il mese successivo con scadenza solitamente fissa. Ma non finisce qui. Le carte di credito, a loro volta e per la fortuna degli Istituti che le emettono, possono essere di tipo “a saldo” (il cliente rimborsa le spese in una unica soluzione a data fissa del mese successivo all’acquisto) oppure di tipo “revolving” (il credito concesso è rotativo, il cliente rimborsa secondo un piano rateale e con la rata assegnata genera credito rotativo). E non parliamo delle ricaricabili, delle co/branded, delle prepagate e di altro ancoraPer farvi capire cosa sia in grado di generare questo mercato, è opportuno soffermarsi su alcuni dati ufficiali forniti da Abi (anno 2009): in Italia circolano più carte che italiani.
Ce ne sono ben 77 milioni, di cui 53 hanno effettuato almeno una operazione; nel 2009 gli italiani hanno usato 40,1 milioni carte, spendendo 120 miliardi di euro, “strisciando” – locuzione ai più nota – 1,4 miliardi di volte; il Nord Italia rappresenta ben il 50% di tutto questo mercato. Non male – direi – se consideriamo il fatto che il nostro Paese è tra gli ultimi in Europa in classifiche di questo genere; e questo perchè gli italiani fanno molta fatica a lasciar perdere il caro vecchio denaro contante.Non posso non citare un caro amico che – non meno di qualche mese fa – voleva convicermi del fatto che ricevere un assegno sarebbe stato meglio che ricevere un bonifico; “Perchè mai?” – gli dissi con fare impetuoso. “Perchè preferisco vivere la manualità del danaro” – mi ha detto. Qui c’è la risposta al fatto che l’Italia sia fanalino di coda nella classifica appena citata; una risposta molto “italiana”L’italiano medio preferisce “toccare” con mano il danaro sia esso un titolo o una banconota; la moneta elettronica conquista con affanno spazi di mercato.Gli Istituti di Credito e le Istituzioni preposte incentivano una riduzione del cash circolante e auspicano una crescita delle transazioni elettroniche che sono sinonimo di sicurezza, affidabilità e contenimento di “rischi operativi”. Nondimeno la crisi economica utlima, una dannazione in primis per arciblasonati Banchieri, ha imposto alle Banche Centrali di istituire severissimi Organi di Controllo deputati alla sorveglianza di un mercato che – specie sul fronte del “revolving” – non ha offerto sempre chiarezza e trasparenza. Questo appare un segno di civiltà nei confronti del consumatore e di quelle Banche (soprattutto specializzate) che – di quel consumatore e della sua “cura” – hanno fatto il proprio core business. Se per certi versi le Banche hanno postato a casa dei loro clienti mirabolanti carte per oltre un decennio e senza tregua, dall’altro i fruitori/consumatori di questo servizio non sempre hanno dimostrato di essere all’alteza dello “strumento” utilizzandolo sconsideratamente.Rimananiamo un paese “arretrato” sotto il profilo della cultura monetaria rispetto a Spagna, Francia, Olanda e Gran Bretagna e in continua evoluzione. “Il giusto è nella via di mezzo” ovvero tra la Banca Centrale che frena le velleità di fatturati esorbitanti e un razionale approccio all’utilizzo di uno strumento incredibile e multifunzionale, usato altrove per fare qualsiasi tipo di acquisto.Non mi sorprenderebbe l’dea di poter pagare tra qualche anno il caffè con un bancomat; per tutto il resto – e concludo – ci deve essere il buon senso.