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In occasione della terza giornata del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli che si è svolto dal 9 al 16 novembre è stato affrontato l’importante e doloroso tema “Colombia, violenza e droga tra verità e bugie” approfondito grazie agli interventi moderati da Guido Piccoli, giornalista e sceneggiatore, e da Valentina Ripa, ricercatrice di Lingua e traduzione spagnola presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. Nella mattinata è stato proiettato il documentario “Fino all’ultima pietra” di Juan José Lozano (2007) e nel pomeriggio abbiamo assistito alla proiezione di “Mercancia” di Andrea Zambelli (Italia, 2006), “Falsos positivos” di Simone Bruno e Dado Carrillo (2009), e “Semillas en una piedra” di Jordi Panyella Carbonell (2010). Ai dibattiti hanno partecipato Iván Forero Robayo, sociologo e storico, difensore dei diritti umani in Colombia, in esilio dal 1998 grazie al programma di protezione dei difensori dei diritti umani di Amnesty International Spagna; Carla Mariani, membro della Rete Italiana di Solidarietà “Colombia Vive!”; il giornalista Jordi Panyella Carbonell Luca Scaffidi Damianello, videomaker, direttore della fotografia, esperto in comunicazione sociale e web-communication che, insieme ad Andrea Zambelli, ha collaborato alla realizzazione di “Mercancia”.
Lo scopo dell’evento è stato far conoscere l’”altra realtà” colombiana di cui non si parla, quella fatta del massacro dei “falsos positivos”, i civili che nulla hanno a che fare con la “guerrilla” e che vengono uccisi e poi travestiti da guerriglieri da parte dell’Esercito colombiano il quale cerca un escamotage per gonfiare il numero dei ribelli, i “guerrilleros”, che insorgono contro il nemico. Il che ha portato alla violazione dei diritti umani usufruendo dell’aiuto e della collaborazione dei gruppi paramilitari. Esiste, quindi, un nesso tra le forze di sicurezza colombiane ed il sempre più crescente numero di gruppi paramilitari del paese associati al narcotraffico nella lotta contro coloro che sono sospetti di simpatizzare per la “guerrilla”.
La storia colombiana, per chi non ne fosse al corrente, è costellata dall’impunità e da azioni illegali. I civili rappresentano crudelmente il capro espiatorio per confermare ed imporre con violenza la forza e la supremazia del corpo militare e dei gruppi al potere. Vengono commessi, a tutt’oggi, crimini di lesa umanità e, purtroppo, la vera informazione a riguardo spesso non riesce a travalicare i confini colombiani, restando circoscritta e taciuta all’interno del territorio stesso. Quello che accade ai “falsos positivos” rappresenta uno dei crimini più singolari, moderni e terribili della storia contemporanea che si macchia di violenze di ogni genere, separazioni forzate, massacri. Molto viene denunciato e molto viene taciuto in queste storie di guerra contro il regime colombiano ed il narcotraffico.
Ma prima andiamo a ritroso nel tempo e facciamo un salto negli anni Settanta, fornendo brevemente un excursus cronologico degli eventi che, poi, hanno segnato il presente.
Nel 1957, conservatori e liberali sottoscrissero la Dichiarazione di Sitges, nella quale proponevano un Fronte Nazionale in cui i partiti liberale e conservatore avrebbero governato insieme alternando ciascuno il proprio presidente al governo.
L’amministrazione del Fronte Nacional tentò di istituire riforme sociali ed economiche ma le contraddizioni di ogni successiva amministrazione conservatrice e liberale portarono a risultati contrastanti. Nonostante il progresso in alcuni settori del paese, continuarono numerose le ingiustizie politiche e sociali. Il carattere non costituzionale dell’alternanza dei partiti Conservatore e Liberale garantiva l’applicazione della strategia neoliberale e del terrorismo di Stato, quale strumento della classe dominante nella sua lotta contro il movimento guerrillero nato e sviluppatosi nel 1964: le Fuerzas Armadas Revolucionarias de la Colombia (FARC), organizzazione guerrillera comunista clandestina di ispirazione bolivariana.
Nella lotta tra i guerrilleros e Stato le vittime sono i civili che vivono il dolore della perdita di un amico, di un marito, di un fratello, di un figlio pseudo-guerrillero riportato come “risultato positivo”.
Da sempre le proteste e le ribellioni sono state represse col sangue e col fuoco.
Forse non tutti sanno cosa accade da anni nella comunità di pace di S. José de Apartadó. In questa zona della Colombia nordoccidentale si è sviluppato un conflitto armato tra “insurgentes”, ovvero FARC e ELN, e “contrainsurgentes” (esercito e paramilitari). Negli anni Novanta questi ultimi entrarono nella regione di Urabá, zona particolarmente ricca di risorse naturali, servendosi della strategia del terrore per assumere il dominio di S. José de Apartadó compiendo l’omicidio dei principali leader comunitari della zona e causando il “desplazamiento forzado” dei suoi abitanti. I “campesinos” che risiedono lì scelgono la neutralità e la nonviolenza per contrastare i protagonisti dell’azione armata, ovvero l’esercito nazionale, i paramilitari e le FARC nel tentativo di difendere la propria vita ed il proprio territorio in quanto vittime della logica della violenza e dell’impunità, considerate conseguenze degli interessi economici legati alle risorse presenti sul territorio e nella dinamica del conflitto colombiano. La situazione in Colombia è molto critica: i “desplazados” sono stati costretti ad abbandonare le proprie case per poi insediarsi in altre case affinché gli stessi paramilitari ottenessero consenso. In quest’ottica, i paramilitari distribuivano acqua, fornivano prestiti e favorivano i trasporti. È fondamentale sottolineare la distinzione tra combattenti e popolazione civile non combattente di cui sono stati – e sono violati – i diritti fondamentali. La guerra e la violenza in Colombia sono finalizzate alla realizzazione di un progetto economico transnazionale e tale progetto trae beneficio dalle violenze e dai crimini commessi contro la popolazione civile. Pur non vestendo formalmente i panni del regime dittatoriale, il modus operandi dello Stato colombiano si rifà certamente alle procedure di repressione sistematica e di impunità che evocano quello dittatoriale nel compiere crimini di lesa umanità e crimini di guerra.
Portavoce di quei fatti terribili sono le varie associazioni che raccolgono le testimonianze del popolo colombiano il quale continua a lottare e a manifestare per la libertà.
L’Associazione si pone al fianco delle comunità di Pace e di Resistenza Civile, dei Movimenti indigeni, degli afro-discendenti e di tutte quelle organizzazioni che difendono i Diritti Umani guardando alla loro esperienza nei processi di costruzione della pace. L’intento è di far conoscere la ribellione nonviolenta contro la guerra, l’impunità e lo sfollamento forzato in Colombia.