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Einstein aveva un sogno: spiegare tutti i fenomeni dell’universo con una sola teoria, la legge del tutto. Una sola legge che racchiuda, in pratica, i segreti della materia e quelli dei pianeti; una sola legge che ci renda conto in maniera definitiva di come si sia creato il nostro universo dal proverbiale Big Bang ad oggi, e, per i credenti, una legge che esponga il “pensiero di Dio”. Albert Einstein aveva già rivoluzionato la fisica classica dando un’interpretazione nuova alla forza di gravità, visto che la formulazione di Newton si dimostrava insufficiente a spiegare alcuni fenomeni del cosmo. Per il fisico tedesco la gravità diventava così l’effetto dell’ incurvatura della superficie spazio-temporale dovuta alla presenza di una massa come quella della terra o in corrispondenza di una massa che viaggia alla velocità della luce. Per capire meglio questa teoria bisogna immaginare un lenzuolo tenuto da due persone in modo che sia perfettamente piano: quello è lo spazio-tempo cioè l’insieme di tutte le possibili coordinate spaziali e temporali. Se noi buttiamo una palla sul lenzuolo questo si piega conformandosi alla palla: è questo ciò che accade nell’universo, ed è questo ciò che accade anche sulla superficie terreste dove la classica mela newtoniana cade appunto per l’effetto di questa incurvatura dello spazio-temporale, dovuta alla massa della terra.
Per Newton lo spazio ed il tempo erano assoluti e non variabili – così come appaiono ai nostri sensi –, invece Einstein ci spiega che lo spazio ed il tempo possono variare e piegarsi, che il tempo, ad esempio, non scorre allo stesso modo sulla terra come scorre nello spazio vuoto. La teoria della relatività generale di Einstein appare ancora più veritiera quando incontra fenomeni come i buchi neri, ovvero masse infinite concentrate in volumi piccolissimi, ove appunto spazio e tempo si contraggono così tanto da assorbire tutta la materia attorno, compresa la luce.
Il passo successivo sarebbe stato quello di trovare una legge che mettesse in relazione la forza di gravità (G) e la forza elettromagnetica (EM). La cosa era complicata perché, la forza di gravità è estremamente più debole di quella elettromagnetica, infatti G si avverte perché agisce su masse non indifferenti come il nostro corpo o i pianeti, mentre ha pochissima influenza sugli atomi sui quali prevale la ben più forte EM che li tiene assieme (l’atomo è allo stesso tempo troppo piccolo perché G sia consistente e troppo grande perché EM non prevalga). A complicare le cose si misero alcuni scienziati che vollero guardar meglio dentro la materia fino a scoprire altre due forze, ancora più forti, all’interno dell’atomo: la forza di interazione nucleare forte (a cui si deve l’energia prodotta durante un esplosione nucleare) e la forza di interazione nucleare debole (a cui si devono le radiazioni). Queste forze non potevano essere spiegate con la legge della relatività, ma con la cosiddetta meccanica quantistica ovvero quella teoria che permette di spiegare le forze interne agli atomi e ai loro nuclei (FM e nucleari), e che parte dal principio di indeterminazione di Heisenberg. Questo dice che: “le leggi naturali non conducono ad un completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere è piuttosto rimesso al gioco del caso”. In pratica per ogni fenomeno noi possiamo determinare soltanto la percentuale delle probabilità che questo produca un certo effetto ma non possiamo esserne mai del tutto certi; e per farla ancora più semplice, sempre riprendendo la mela, se la lasciamo cadere possiamo prevedere la possibilità che questa arrivi a terra ma dobbiamo tener conto che esiste almeno una possibilità su infinite che invece rimanga sospesa. Ma la meccanica quantistica purtroppo non spiegava la forza di gravità, insomma la gravità non si riusciva a farla entrare nel mondo infinitesimo dell’atomo. Era come se si fosse creata una frattura tra il mondo infinitamente grande spiegabile con la gravità e il mondo dell’ infinitamente piccolo che obbediva alle forze. Ad Einstein, poi, il principio di indeterminazione non piaceva affatto ed infatti era solito dire: "Dio non gioca a dadi".
Morto nel 1955 il genio tedesco non poté realizzare il suo sogno, e questo venne abbandonato fino agli anni ’70 quando un gruppo di fisici stralunati arrivò a formulare casualmente la teoria delle stringhe. Mentre cercava di dare una spiegazione alla forza nucleare forte, il fisico italiano Gabriele Veneziano (il primo tra gli "stringhisti") scoprì un’equazione "giocosa" formulata nell’ottocento dal matematico svizzero Bernhardt Oiler, che descriveva una simpatica particella vibrante detta stringa con la quale era possibile spiegare il funzionamento delle forze nucleari. In realtà la teoria che ne seguì aveva parecchie lacune e prevedeva l’esistenza di una particella senza massa il che era un assurdo fisico. La teoria precipitò nella dimenticanza finché il fisico John Schwarz ebbe la geniale idea di mettere in relazione la stringa con G: riducendo estremamente le dimensioni della stringa fino a supporre che questa sia l’elemento più piccolo della materia, alle cui diverse vibrazione corrispondono tutte le particelle subatomiche nonché le forze stesse, giunse a teorizzare che la stringa non fosse altro che un gravitone, cioè la particella tanto piccola da interagire, a livello subatomico, con lo spazio ed il tempo circostante proprio come fa un pianeta nello spazio siderale e cioè obbedendo alla legge della relatività generale di Einstein. Andando quindi ancora più in profondità nella materia, fin dentro alle particelle e a ciò che costituisce le forze (compresa quella EM), si giunge secondo questa teoria a sentire di nuovo la forza di gravità così come per le grandi masse dei pianeti, e questo non fa altro che accordare la meccanica quantistica e la relatività in un’unica legge che possa spiegare il "tutto".
La stringa non è stata ancora trovata (una particella così piccola non è facilmente visibile), ma il fatto che sia matematicamente dimostrata ci porta a supporre che in effetti esista la cosiddetta legge del tutto. Ciò non vuol dire però che trovare questa legge ci permetterà di capire il “pensiero di Dio”, ma semplicemente prova una volta di più di quali straordinarie abilità il creatore abbia dotato il cervello dell’uomo.
Tornando al principio di indeterminazione: è pur vero che un evento può compiersi in infiniti modi, ma è altrettanto vero che la stragrande maggioranza delle volte questo si compie in un modo solo, il che dimostra che esiste un’anima intelligente che in qualche modo dirige il suo creato, e che quindi Dio, proprio come diceva Einstein, non gioca a dadi.