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Continua il viaggio dedicato alla storia di Bari, descritta dall’appassionato di storia e cultura barese Nicola Mascellaro che da più di trent’anni fotografa questa città e la racconta. Al suo attivo ha diverse pubblicazioni.
Poeta dimenticato. Eppure in tanti ne hanno scritto, compreso Benedetto Croce. Una lunga fila di intellettuali, soprattutto pugliesi, hanno magnificato la sua opera, oltre che di poeta, di prosatore e storico per il contribuito al recupero del patrimonio culturale della Puglia. «Lo scrittore pugliese» scriveva don Benedetto molti anni dopo la scomparsa di Perotti, «non si restringe agli aneddoti curiosi o passionali, a evocazioni storiche dell’Ottocento, ma fa conoscere atti e ordinamenti pubblici, costumanze della storia antica e medievale con bella padronanza. Non so, conclude Croce «quali altre regioni d’Italia abbiano avuto la fortuna di un illustratore che all’affetto per le memorie della sua regione congiungesse un pari cuore umano e un così nobile intelletto».
Per la verità, il presunto oblio di Perotti è tale solo fra i non addetti ai lavori poiché di lui si cantano le lodi ancora oggi ad oltre ottant’anni dalla sua morte. Da dove nasce allora questa nomea di poeta e saggista dimenticato? Dall’indifferenza inveterata dei pugliesi nell’approccio ai libri di storia locale e alle non poche difficoltà degli autori di trovare divulgatori che non siano editori di periodici o quotidiani. «Ma per carità articoli brevi» dicono i direttori di questi ultimi «non c’è spazio, non c’è spazio e i lettori, che già leggono poco, vogliono altro».
E tuttavia, insieme a queste generali motivazioni, c’è poi la personalità dello stesso Poeta il quale, salvo le rare volte che indossa i panni del ‘capopolo’ per difendere luoghi e tradizioni popolari, solitamente è schivo, ombroso e introverso tanto da sembrare altezzoso come spesso lo raffigura il fraterno amico vignettista Frate Menotti. «Non parlava mai di sé» scrive Michele Viterbo «e se lo adulavano diventava rosso in volto». Era una postura, un modo per mascherare la sua estrema timidezza.
Come non bastasse, al carattere spigoloso univa l’abitudine ad esiliarsi, anche per anni, allontanando così amici di gioventù. «Armando Perotti ha sempre lavorato in silenzio» scrive Augusto Cerri «il suo nome non ha varcato i confini della regione natia. Il gran pubblico non lo ha mai conosciuto. Egli ha goduto notorietà soltanto fra una ristretta schiera di eletti. Non è andato ramingando per la conquista della celebrità, non ha cercato di partecipare a conventicole e cenacoli che diventano fabbriche di grandi uomini artificiali».
L’asserzione di Cerri sull’amico, formulata per altro sette anni dopo la scomparsa del Poeta, è vera solo in parte. Perotti era noto come giornalista, poeta e saggista di notevole spessore a Roma e a Napoli, ben prima che in Puglia. Ma orgoglioso e restio a chiedere come chi vive dei propri mezzi. E’ a Roma, infatti, che Perotti inizia la carriera di giornalista collaborando per diversi quotidiani e periodici letterari.
Ancora una volta, dunque, è il suo carattere da ‘lupo solitario’ a renderlo poco noto al ‘grande pubblico’ o, almeno, a quei pochi lettori pugliesi che si potevano permettere l’acquisto di un libro. Tant’è che ‘Bari Ignota’, il miglior volume storico di Perotti della Bari d’altri tempi – una raccolta di articoli e studi apparsi prima su quotidiani – è pubblicato nel
Armando Perotti nasce a Bari il 1° febbraio del 1865 dall’unione fra il capitano del Genio, Gaetano Camillo Perotti e Fulvia dei Conti Miani, discendente di una prestigiosa famiglia napoletana stabilitasi in Puglia. Donna Fulvia è nata a Polignano ventuno anni prima del marito che, nato ad Ivrea, arriva a Bari nel
Nel 1869 la famiglia Perotti si trasferisce a Gaeta dove il padre di Armando ha assunto il comando della Piazzaforte. L’anno dopo Giuseppe Mazzini è arrestato a Palermo e rinchiuso proprio nel castello Angioino di Gaeta. La sorveglianza del patriota repubblicano, o del ‘pericoloso sovversivo’ del governo monarchico di Giovanni Lanza, è affidata alla responsabilità personale del comandante Gaetano Perotti che, affascinato dalla personalità di Mazzini, cerca di rendergli il più confortevole possibile la breve prigionia. La circostanza non sfugge all’alto comando militare. Nel 1871 prima lo trasferisce a Roma, senza assegnargli un incarico poi, a soli 51 anni, lo colloca a riposo col grado di maggiore generale.
L’idealista Gaetano Perotti e la giovane moglie donna Fulvia erano diventati personaggi scomodi per l’Esercito di sua maestà.
Nel 1874, dunque, la famiglia Perotti torna a Bari.
Armando è avviato agli studi classici guidato dalla madre, intellettuale liberale, nonché giornalista e scrittrice. Il padre acquista casa e terreni a Cassano Murge – dove la famiglia soggiorna per diversi mesi l’anno – e finisce per diventare Sindaco della cittadina murgese che amministra dal 1875 al 1883. Il giovane Armando, invece, a soli 17 anni consegue la licenza liceale.
Fino al 1881 dunque, Armando e la sorella Maria crescono sì nell’agiata borghesia pugliese, in un ambiente ovattato a metà fra la campagna e la città, ma privati della possibilità di piantare radici nell’una o nell’altra cultura, di acquisire quelle tipiche, durature amicizie adolescenziali.
Il mondo esterno, quello al di fuori della cerchia sociale della famiglia, è lontano mille miglia dalle passioni civili e culturali che uniscono i loro genitori alle quali i ragazzi vengono educati.
Terminati gli studi liceali Armando vorrebbe iscriversi all’Accademia Navale di Livorno. Ma trova la ferma opposizione del padre: basta con i militari in famiglia, soprattutto nella Marina.
Dunque bisogna continuare gli studi. Il giovane non ha un orientamento preciso, ma diversamente dalla maggioranza dei rampolli pugliesi, Perotti non s’iscrive alla Università di Napoli – ch’è ancora il centro della vita e del potere culturale del nuovo regno – ma alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma che abbandona, dopo aver sostenuto pochi esami, per fare le prime esperienze giornalistiche. Il lavoro nei quotidiani lo affascina, l’ambiente è ricco di caratteri e personalità estranei al suo mondo.
Da Roma poi, si trasferisce a Firenze dove consegue, appena ventenne, il diploma di abilitazione in materie letterarie. Prosegue per Perugia e nel 1889 si laurea in Legge. In questa splendida cittadina collinare, che profuma di cioccolato, Armando scopre di avere una vena poetica: ha 22 anni quando pubblica il primo volume di sonetti. Infine, eccolo di nuovo a Roma, dove torna a frequentare e scrivere per diversi quotidiani.
E’ in questo suo peregrinare «da ebreo errante», dice egli stesso, che si accorge di non avere un passato socio-culturale da ricordare, passioni e amicizie da coltivare, «io fuggo il mio paese dove non sento che parlare di olii e di vini, dove discorrere d’arte è come parlare la lingua dei seleniti, dove il risveglio culturale è tutt’altro che prossimo. Io proseguo così la mia corsa per le terre d’Italia: in nessuna ritrovo la mia, ma in tutte la dimentico» scrive Perotti ad Orazio Spagnoletti.
Il giovane poeta, insomma, sta cercando patria, radici culturali non trovandoli nemmeno in quella Roma che, divenuta Capitale, comincia ad affollarsi di una fauna famelica di intellettuali in cerca di gloria che assediano la nuova classe politica dell’Italia unita.
A Roma, Perotti frequenta lo studio dello scultore molfettese Filippo Cifariello, un altro ‘ebreo errante’, con un magone struggente per Napoli e per Molfetta, la sua città natale. Ed è qui, nella bottega del Maestro, frequentata da intellettuali di diverse regioni – lo studio dello scultore di Molfetta si trova sotto il palazzo delle Arti – che Perotti comincia a sentire sulla pelle, nelle narici, l’odore, il sapore della sua terra.
«Ogni provincia d’Italia che si rispetti», scrive in quegli anni, «ha raccolti, al giorno d’oggi, i canti popolari, gli stornelli, i rispetti, i proverbi, le leggende, le novelle che corrono sulla bocca del popolo: noi nulla».
Gli manca, insomma, il contatto, il calore della gente semplice, dei contadini, dei marinai, della gente comune delle strade e dei paesi di Puglia. Alla fine cede.
Armando Perotti torna definitivamente a Bari nel 1893 ed inizia un lungo, proficuo rapporto di collaborazione giornalistica con diversi quotidiani e periodici, né disdegna i diffusi settimanali umoristici – Apulia, Fanfulla, Figaro, Fra Melitone, Gazzettino delle Puglie, Giornale delle Puglie, Oggi, Rassegna Pugliese, Il Pompiere, Spartaco, ecc. – ma è particolarmente prolifico con il Corriere delle Puglie dove scrive molti articoli di attualità, dei tanti problemi che affliggono le nostre contrade – a cominciare dall’acqua – fino alle recensioni teatrali e naturalmente di storia e cultura popolare.
Al giornale barese, l’odierna Gazzetta del Mezzogiorno, Perotti è particolarmente legato. Negli anni in cui ha vissuto ramingo per l’Italia, specie nel periodo romano, solo il Corriere riusciva a lenire la nostalgia di casa. «Provino» scrive anni dopo «quelli che in patria fanno da censori, a vivere fuori ed a ricevere ogni giorno dalla posta il Corriere. Vedranno come suoni cara la voce di casa propria; come ogni notizietta diventi interessante, come ogni questione discussa, fuori dei pettegolezzi del caffè e della farmacia, assuma un tono di serietà e di autorevolezza che esalta il sentimento urbano ed eleva la coscienza civica del barese lontano».
Tornato a casa il Poeta è subito oggetto della matita satirica di Frate Menotti. Il vignettista lo disegna sempre impettito, gagliardo, impeccabile nel tight e l’alto colletto inamidato, occhi dardeggianti e baffi appuntiti all’insù come due spadini, una reminiscenza dell’amicizia con lo scultore Filippo Cifariello – che ne aveva una cura maniacale – e l’immancabile pipa in bocca.
A Bari Perotti limita la sua produzione poetica e si dedica alla cronaca, alla pratica giornalistica e inizia le prime ricerche di storia, ancora una volta influenzato dagli interessi culturali e sociali della famiglia che spaziano dalla produzione letteraria della madre, scrittrice feconda, all’impegno del padre, cultore delle scienze archeologiche e storiche locali nonché presidente della Commissione di Archeologia e Storia Patria di Bari.
La scomparsa del padre, il 6 luglio 1898, segna profondamente Armando che all’incirca due anni dopo lascia Bari per rifugiarsi nella piccola Castro, all’estremità meridionale della Puglia, per quasi un decennio. Ed è nella solitudine della cittadina salentina che Perotti, quasi da anacoreta, si dedica a quegli studi che già sentiva di voler approfondire e comincia a porre mano ad un grande progetto: consegnare alla sua città, alla sua regione, una storia delle tradizioni che formano un popolo, la comunità barese e pugliese… «compulsando, in completa solitudine, tomi di remota sapienza, scoprendo analogie e somiglianze» scrive Augusto Cerri «frugando in lessici di morte lingue tra vecchi libri e ingiallite pergamene, fra manoscritti dimenticati e reliquie archeologiche, egli s’era dato ad interrogare il passato della sua gente col nobile e singolare proposito che la intensa fatica dovesse riuscire di vantaggio alla sua città».
Nasce a Castro ‘Bari Ignota’ e quando nel 1908 è dato alle stampe, Perotti abbandona il suo romitaggio salentino, torna a Bari, trova l’anima gemella, Maria Fortunata Consiglio, la sposa, si candida alle elezioni municipali del 1910, ottiene più voti di tutti, perfino del candidato sindaco Giuseppe Capruzzi, e alla prima seduta del nuovo consiglio comunale è delegato a pronunciare il discorso inaugurale.
Perotti non cercava incarichi amministrativi, e non ne ottenne, ma voleva far parte della Commissione incaricata di preparare i solenni festeggiamenti per il centenario della nascita del ‘nuovo borgo’ che si sarebbero svolti nella primavera del 1913. «Bari chiede innanzitutto di essere ben governata ed ha il dovere di esprimere tutta la sua gratitudine alla memoria del regale Benefattore», dice il Poeta tra i consensi dell’Assemblea. «Dopo aver conquistato gli agi, siamo giunti alle soglie della grandezza. La mercantile città, nel suo rigoglioso divenire, sente i nuovi diritti di assistenza. E’ ampia, ma vuol essere bella e sana; è ricca, ma vuol essere colta; è operosa ma vuol entrare in comunione di vita superiore con la grande Storia. Sa di dover compiere sul mare nostro una funzione che non è soltanto di traffici».
Dopo le celebrazioni Perotti torna alla vita che gli è più congeniale: lunghe ricerche storiografiche nella biblioteca ‘Sagarriga Visconti’, lunghe ore chino su antiche pergamene e manoscritti, centinaia di articoli per quotidiani e settimanali, pomeriggi davanti alla libreria Laterza, serate nella tipografia del Corriere delle Puglie prima e, nel 1922, della Gazzetta di Puglia situata temporaneamente nei locali sotto la ferrovia Bari-Matera.
«Intorno alle 22» ricorderà molti ani dopo Luigi de Secly «si presentava nella sala della redazione politica Armando Perotti. Il Proto preparava all’amico illustre le bozze degli articoli di terza pagina», la pagina culturale dell’epoca, «che il Poeta correggeva scrupolosamente. Ma qualche sera egli si rifiutava di farlo o perché stanco o perché non ne aveva voglia». Né l’uno né l’altro. Perotti era malato e «stanco dell’inutile guerra con il tarlo roditore del terribile male che lo strappava alla sua preziosa fatica, facendolo martire, dannandolo a contare, in una indicibile tortura i giorni che gli restavano da vivere» scrive Augusto Cerri.
Nella biblioteca ‘Sagarriga Visconti’, dove il Poeta era diventato direttore, nasce il volume ‘Storie e storielle di Puglia’ pubblicato dalla casa Editrice Laterza nel 1923. Le bellissime poesie inedite di una vita saranno, invece, raccolte in volume per iniziativa di amici ed estimatori e pubblicati dopo la scomparsa dell’Autore.
Perotti si spegne nella casa di famiglia a Cassano Murge il 24 giugno 1924. Meno di tre mesi dopo, l’11 settembre, muore l’amico fraterno, il compagno di tante battaglie civili, il disegnatore Frate Menotti al secolo Menotti Bianchi. Il 2 febbraio 1931 la salma di Armando Perotti è trasferita dal cimitero di Cassano Murge nella necropoli di Bari in un loculo posto sulla facciata anteriore della Chiesa matrice del Cimitero. Tre giorni dopo la traslazione muore, alla veneranda età di 87 anni, la madre del Poeta donna Fulvia.