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Nei romanzi on the road, di solito, si raccontano le storie che narrano il viaggio di andata. Le fughe sono sempre avvincenti, nascondono possibilità dietro ogni evento e gridano vendetta ai luoghi abbandonati.
Il figlio del figlio, di Marco Balzano, narra al contrario le vicende legate ad un ritorno. Un itinerario a ritroso, da Milano a Barletta, da un nord squassato dai sussulti dell’economia a un sud che con i sussulti ci convive da sempre. Tre uomini, lo stesso sangue nelle vene, il viaggio e ricordi sollevati come nuvoli di polvere ad ogni passo mosso in casa.
Tutto ruota attorno all’urgenza di vendere una vecchia dimora ai confini dell’Italia: troppo lontana per essere comoda residenza estiva, troppo malandata per essere ristrutturata e troppo carica di memorie che evocano solo rimpianto. Un tempo abitata da nonno Leonardo, la casa di Barletta è preda dell’incuria e alloggio di piccioni che nidificano sul tetto. Venderla, però, comporta la recisione di quell’ultimo vincolo che lega alla terra di origine ed equivale a certificare la perdita di un approdo sicuro dove, semmai, tornare. Per recarsi a sbrigare le pratiche dal notaio, Leonardo si lascia accompagnare in auto, lungo l’adriatica, da suo figlio Riccardo e da suo nipote Nicola. Stretti in un abitacolo che comporta una vicinanza insolita, i tre si studiano, si punzecchiano, si sopportano e si sorprendono a scoprire lati inediti l’uno dell’altro.
Leonardo ha lasciato Barletta, all’epoca del boom economico, per garantire un futuro migliore a Riccardo. Nicola, figlio di Riccardo, è il milanese di prima generazione, l’io narrante che scruta le afflizioni di nonno Leonardo e sviscera le frustrazioni di papà Riccardo.
La storia ambientata ai giorni nostri indaga, con opportuna indiscrezione, le conseguenze dell’immigrazione, mezzo secolo dopo l’esodo, nell’ambito delle famiglie del sud: la trasformazione delle abitudini, lo smarrimento dei primi tempi, la difficoltà nel mantenere rapporti a distanza con il paese di derivazione, il sopraggiungere della rassegnazione e la definitiva certezza di un impossibile ritorno.
Il figlio del figlio (Avagliano Editore) è un romanzo autobiografico, un percorso d’introspezione che concede a Marco Balzano l’occasione per riscattare dispiaceri e contraddizioni delle famiglie, come la sua, partite anni fa alla volta di un Eldorado tanto mitizzato quanto deludente.
Tra efficaci descrizioni dei luoghi, precise citazioni in dialetto e qualche cliché (“oggi anche se non sembra non è cambiato proprio niente”), la narrazione corre fluida verso una conclusione ineluttabile. Balzano ripercorre le sue vacanze estive nella terra che si affaccia a Oriente, le vivide memorie di suo padre e le certezze scolpite nella mente di suo nonno. Con stile asciutto e poetico raccoglie cocci di una vita passata, svela fortuiti incontri tra austeri reduci della seconda guerra mondiale e racconta la riscoperta dell’aria salmastra che fende i vicoli sul mare.
Le testimonianze di nonno Leonardo, elaborate in una malinconica catarsi, ispirano empatia che non concede scampo, soprattutto in chi quei luoghi li vive nel quotidiano. I ricordi di Riccardo sono intermittenti, così come lo è stata la sua giovinezza spezzata da un viaggio verso una destinazione che lo ha reso operaio e prematuro capofamiglia. Da emigrato disilluso coverà insofferenza per suo padre (Leonardo) e cinismo verso suo figlio (Nicola). E rimarrà bloccato, con la soggezione propria del figlio al cospetto di un padre dai modi autoritari, anche dopo aver conseguito lo status di genitore. Nicola, primo e unico laureato della famiglia, cerca riscatto in un modo diametralmente opposto a quello conosciuto in famiglia individuando, nell’astrattezza delle parole, un mezzo di sostentamento alternativo alla tangibilità del lavoro manuale.
Un libro sulle tradizioni che si perdono, sull’orgoglio di un credo proletario in disuso e sul richiamo del sangue.