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Che il rapporto con gli animali fosse qualcosa di radicato, viscerale, intimo e dettato da un qualcosa di spirituale per lo scultore Franco Bratta era fin troppo facile presumerlo; ma che si spingesse ad un tale livello di empatia etologica, di resa tattile ad una poesia zoologica lascia meravigliati e ingelositi del suo piegare la dura materia alla soavità simbolica della vita animale. Ne è causa determinante il suo passato di cacciatore, redento da tempo, pentito, che riscatta attraverso un tributo di puro ossequio cromatico quasi divinizzante le forme stilizzate o meno di quel regno animale che conosciuto direttamente, da vicino, infonde un peculiare animismo che abita e possiede attraverso forma, volume, sostanza, peso, le sue sculture.
Una quarantina di opere sono visibili in questi giorni con il titolo “Dal caos all’armonia” alla galleria di nuova apertura Boursier Contemporary Art di Torino, e rimarrano in esposizione fino alla fine di novembre.
Una mostra animalier, fatta di rinoceronti volanti, civette, barbagianni, babbuini, elefanti realizzati in bronzo o in gres, alcuni dalle dimensioni impressionanti, raggianti di colori pensosi, per scelta ed effetto, stranianti e familiari. Animali catturati mentalmente per racchiudere in nuce la loro essenza. In uno spazio di riflessione, di esame resta da chiedersi se sia possibile intravedere l’ossatura del sistema, il simbolo, l’ordine latente che presiede alla creazione. Il risultato sono sculture raffinate che possiedono una solidità metafisica oltre che fisica, una guardare lento alla forma, alla sua esistenza dolce, eloquente, autosufficiente e sovrana.
La personale ospita altresì un pittore emergente, Matteo Cassetta, che affianca a Bratta grandi tele dipinte con i volti di oranghi e gorilla berengei, dalle “pupille impelate, sfilacciate nel grigio e nel marrone, di questi bestioni, ploranti, ed annodati nella noia” come scrive in catalogo Marco Vallora.
I soggetti paiono davvero doloranti e perduti, forse rappresentano i non salvati, perduti nella nebbia della studiosa americana Dian Fossey, che nelle foreste africane tentava di salvare, nella realtà e poi in un film a lei dedicato, i primati dai bracconieri.