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Giovanissimi, belli, puliti e buoni. Francesco Fabris (voce, chitarra e programmi), Pietro Secco (basso, synth), Alberto Paolini (batteria, groovebox) e Daniele Fabris (synths, sequencers) sono titolari del marchio Phinx, storpiatura del termine inglese sphinx, cioè sfinge. Provengono dal Veneto ed esordiscono con Login, scrigno destinato a recepire frustrazione ed inquietudine giovanile. Inglese il canto, nord-europeo il substrato musicale. Per raggiungere l’obiettivo prefissato lo sguardo è dichiaratamente volto a figure rilevanti come Daft Punk, Prodigy e Radiohead, ma qua e là si colgono echi dal nuovo mondo riconducibili ai Killers.
In Login, composizione e produzione si aggregano per dare simmetria e rigore all’intero album mentre il mood si snoda ordinato tra perimetri sintetici e meccanici tappeti sonori. L’elettronica è una dima che calibra e assembla con estrema precisione. Il digitale elimina ogni sbavatura, bilancia alla perfezione e ripulisce: tutto è impeccabile, netto, quasi asettico. I quattordici brani, solo lambiti da certa genuina audacia, risultano omogenei tanto da rendere difficilmente raggiungibili i propositi proclamati dai quattro bassanesi.
Sedotti da lusinghieri riconoscimenti ricevuti da Mtv, il clip The Gamer è stato definito “il video più cool dell’estate 2009”, i ragazzi perseguono i dettami dell’entertainment e lanciano il singolo anticipatore, Get Panic, sulla falsariga di quanto già immesso sul mercato. I Phinx sono perfetti per un pubblico molto giovane che ricerca tendenze danzerecce e incentivi visivi. La decisione di optare per quattro diverse versioni del video Get Panic, e la partnership con un marchio di abbigliamento, che “oltre a vestirli ha realizzato per loro una t-shirt in edizione limitata”, rafforza la tesi che, in ambito musicale, l’apparenza conta tanto quanto l’essenza. Se non di più. La musica, oggi più che mai, è una questione di stile. Le rock band brutte, sporche, cattive e magari rivoluzionarie, si sono definitivamente estinte.