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La controcultura Fabri Fibra non l’ha mai vissuta ma è quanto vorrebbe fare con la sua musica e, soprattutto, con i suoi testi. Nel nuovo disco del rapper però, Controcultura appunto, l’accento cade sulla prima parte del titolo: contrò. Il rapper infatti nelle sue rime va contro tutto e tutti. Ingurgita nomi, fatti e tutto quanto è accaduto negli ultimi mesi per poi triturarlo e buttarlo fuori con veemenza nelle sue rime. Nessuno è al riparo perchè «io i nomi li faccio», rivendica l’artista, mentre gli altri cantanti a suo parere «sono escort».
Diciotto nuovi brani, a cui ha lavorato con dieci diversi produttori, italiani e stranieri, in cui Fabri Fibra descrive il suo mondo, il nostro quotidiano, in una sorta di flusso di coscienza che spazia dalla televisione alla cronaca nera e rosa, dalla politica alla società, «alla ricerca della verità». Dal disco, in uscita il 7 settembre in due versioni, emerge un Paese «messo male», confessa l’artista che nelle sue canzoni lo dipinge come il Paese dei «mille vizi», basato su «donne e pallone», dove la tv la fa da padrona anche se «non è poi così un bel mondo».
Da Berlusconi a Santoro, da Noemi Letizia (che ha sognato «fatta a pezzi in una borsa di Krizia») a Patrizia D’Addario, da Marco Carta a Marrazzo, da Corona a Fabio Fazio, da Eluana Englaro ("una vicenda che commento anch’io, visto che lo hanno fatto tutti con insensibilità, come il titolo del pezzo, mentre sarebbe dovuto restare un fatto privato», ha spiegato) ad Alberto Stasi, fino a Laura Chiatti. C’è tutto un mondo nelle canzoni di Fabri Fibra: gente che odia, che rispetta o con cui vorrebbe andare a letto. «Non c’è mai nulla di personale – premette Fibra – ma nessuno in Italia, nei testi, fa i nomi, semmai fa qualche richiamo vago. Io invece i nomi li faccio subito – prosegue – così comunico immediatamente la situazione e lo scenario che voglio richiamare». Per la gente coinvolta, il rapper non ha pietà: «chi è nello spettacolo è in un gioco. Giochiamo. Non si può sempre fare bella figura». E poi «io non sono un magistrato e la gente non mi deve prendere troppo sul serio. I miei testi non sono verbali. Sono un artista, dico quello che voglio». Anche se i nomi, a volte, vengono catapultati più per ragioni metriche che per altro. «I nomi spesso fanno solo la rima giusta».
Con i colleghi e i politici, il rapper, che si proclama «il numero uno dell’hip hop italiano», non è tenero: «Escort sono gli artisti italiani – sostiene – che sono pagati per non dire nulla». Un giudizio pesante che appare proprio nel testo di ‘Escort’ in cui canta: «La musica non dice più niente, è una strategia che tranquillizza la gente». Gli altri rapper, ma anche i politici, sono invece «qua-qua», in ‘Vip in Trip’. «Sono l’artista più in contrapposizione con la cultura dominante», conclude, mentre alle critiche ai suoi testi arrivate da Francesco Facchinetti risponde: «Lui non fa musica. Continui a presentare quei programmi. Qui alla Universal il suo quadro lo hanno tolto da quando sono arrivato io, perchè ho venduto molto di più».
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