Tempo di lettura: 2 minuti
L’album di debutto dei Mano-Vega riporta un titolo emblematico: “Nel Mezzo”. Chiarificatore per certi versi, ed ermetico per molti altri, il titolo dà l’impressione di assurgere a manifesto della filosofia dei musicisti laziali. Due sole parole per esporre lo specchio fedele di una volontaria indeterminatezza. Ascoltando “Nel Mezzo” il fruitore del disco fluttua senza appigli contrastato tra correnti divergenti. Sfuggente, il genere proposto non si palesa netto e, dopo diversi ascolti, il sound appare un ibrido ingegnoso posto nel mezzo – per l’appunto – di elettronica, dark, metal e prog.
Il lavoro non sempre risulta convincente ma si distingue per coraggio ed originalità. L’elettronica domina grazie all’intreccio di synth e theremin, tappeto sonoro ideale per la voce – tesa e potente – di Valerio D’Anna. La duttile chitarra di Giovanni Macioce e il conciliante basso di Lorenzo Mantova completano il trio già vincitore dell’Arezzo Wave Love Festival 2001.
Troppo marcata, tanto da sembrare un difetto, nel disco si ravvisa una ciclica regolarità, tra un brano e l’altro, di trame transitorie lunghe. Esasperatamente lunghe. Intro ed outro durano uno sproposito e sminuiscono l’impatto dei pezzi. Così arrangiati, i nove componimenti si perdono in acquosi fraseggi campionati tanto da rendere secondario il nucleo di ogni brano. Un lucido sguardo esterno, probabilmente, sarebbe stato di aiuto in fase di produzione. “Nel Mezzo”, infatti, è stato concepito e prodotto dai Mano-Vega ed è stato pubblicato dalla Domus Vega, etichetta fondata proprio dal gruppo.
Il pregio maggiore si riscontra nelle liriche curate, forse un po’ pretenziose, ma superiori a quanto offre oggi il panorama indipendente. I testi raccontano l’io (nel Mezzo), rastrellano schegge di memoria (dal Rosso al Blu), percezioni (Sinestesia), quesiti ripresi da Ermete circa le nostre origini (Sfere) e pensieri a redini sciolte che esigono un’attenzione spesso impegnativa (Magnus Opus e la conclusiva Dal Nero al Bianco).
Il mood esoterico dei Mano-Vega (il cui nome richiama l’utopica gestione della velocità mentale) permea l’album da cima a fondo. La band arma un sound sperimentale, intarsiato a più riprese da sfrenato noise, che sicuramente aspira alla lezione riformatrice dei Nine Inch Nails, ma che non tralascia le dinamiche di composizione già formulate dagli italianissimi Subsonica. Un disco fuori dal coro nato da un lento e solido processo evolutivo.