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E’ facile parlare dei tempi che sono raffrontandoli con un passato supposto glorioso. Scontato è affermare quanto "brutti" siano questi tempi, ed ancora più ovvio è fare un elenco di "brutte" cose che quotidianamente ci indignano. Accade in ogni epoca, soprattutto se il tema del raffronto è la morale. Il degrado morale, diciamocelo pure, è sempre stato uno dei temi preferiti quando si affrontano questi discorsi. Ma tant’è…
Per quanto banale sia farlo, non si può e non si deve, evitare di mettere in evidenza come, proprio ora, tale degrado stia raggiungendo un culmine preoccupante. Basterebbe far presente che abbiamo ed accettiamo un presidente del Consiglio, nostro massimo rappresentante, la cui moralità non è nemmeno più dubbia, tanto palese e comprovata è la sua amoralità. Ma accettiamo anche che si ripresentino vecchie e nuove intolleranze: la xenofobia abbraccia ampi strati della nostra società, l’immigrato clandestino è considerato (per legge!) un delinquente, l’odio per il rom si alterna all’odio per il musulmano e rispuntano casi feroci di omofobia. Accettiamo che i nostri figli non sappiano parlare la nostra lingua, che non sappiano mettere per iscritto più di due parole in fila senza commettere un errore e comunque sudare le classiche sette camice; accettiamo, di conseguenza, che la scuola venga svilita, che la cultura sia messa da parte se non sufficientemente commerciale. Accettiamo che i nostri vicini dilapidino i loro beni e la loro dignità nelle ricevitorie del lotto, ai banchi delle scommesse, sulle macchinette del poker. Accettiamo, perché così va il mondo…, perché da un certo punto in avanti si è imposta una strana morale, strana ma facile da comprendere: la morale del guadagno ad ogni costo, dell’arricchimento a scapito di tutto e di tutti. Abbiamo accettato questa “morale” perché la cultura di massa, ed in primis la televisione, ci ha spinti da una parte ad omologarci ad un modello di successo tanto allettante quanto in definitiva vuoto; dall’altra ad essere sempre più individualisti, più egoisti ma anche più soli.
Probabilmente, nella storia, il degrado morale ha toccato punti più bassi, ma dopo un secolo che ha visto numerose e rivoluzionarie conquiste civili (la parità fra i sessi, tra le etnie, tra le minoranze) non si può tacere sulla recrudescenza che dagli ’80 ad oggi questo degrado sta avendo, su come stia togliendo significato a parole quali etica, fratellanza, rispetto, amore e persino Dio. Non si può tacere, soprattutto se si è chiamati, in un paese come il nostro che si dice cristiano, ad essere interpreti dell’amore di Cristo, o da laici, interpreti di una tradizione etica che nasce sui colli dell’antica Roma, figlia a sua volta della grande civiltà greca. Per questo ci chiediamo qual è la risposta che dobbiamo, noi occidentali, figli di una cultura supposta grandiosa, dare a questa crisi di moralità, qual è il contributo che può e deve offrire, qual è, in definitiva, la nostra missione?
In questo lungo cammino che dovrà portarci necessariamente a rifondare la morale civica, rimettere in primo piano il bene comune e a ricondurre etica, rispetto, mutuo soccorso ad essere valori fondanti dell’umanità, il cristiano ha un punto di partenza privilegiato e per due motivi. Il primo deriva dal fatto che porta con sé un enorme bagaglio di valori dettati dal sommo comandamento di Gesù, "amatevi l’un l’altro come io ho amato voi"; in secondo luogo il cristiano è parte di una comunità, ed è la comunità la più efficace risposta all’individualismo e all’omologazione. L’appello è dunque rivolto ai cristiani ed in particolare ai giovani, al fine di ritrovare la comunità ed estenderla in senso globale; estenderla cioè non solo numericamente, ma anche e soprattutto a quei temi e in quei luoghi da cui i cristiani si sono discostati per pregiudizio opponendo ai laici una barriera ottusa ed invalicabile: parliamo ad esempio di temi quali l’omossessualità, la convivenza, la sessualità in generale e la contraccezione.
Ma allo stesso modo l’appello si rivolge all’anima laica di questo paese, che non si trinceri nelle sue crociate anti-clericali, che non confonda libertà con libertinaggio, che non ceda con troppa facilità al mercato solo perché da questo è storicamente nato l’affrancamento laico dall’occultismo religioso.
In questo modo potremo contribuire ad una discussione costruttiva con l’altro, che porti, da un lato, a riaffermare il valore della vita nel senso più completo, dall’altro a riscoprire che il nostro bene è tale solo se è comune a quello del nostro prossimo. Solo queste basi potremmo ricostruire, togliendo così terreno fertile alla logica del guadagno e della sopraffazione. Sono queste le basi comuni al nostro popolo, e non solo, perché in realtà tali basi coinvolgono qualsiasi cultura, perché fondamentalmente assolute. Per dirla in maniera più semplice, in fondo l’uomo, qualunque sia la sua origine, sa cosa distingue intimamente il bene dal male, ed è questa poi ciò che chiamiamo morale, e quest’intima convinzione non può certo essere cambiata dalle tendenze di un tempo, dalla televisione, o dalle idee di un leader carismatico: no, non è giusto prostituirsi per arrivare al successo; no, non è giusta la corruzione; no, non possiamo accettare che i nostri rappresentanti si droghino in festini a base di sesso; no, non è giusto che i nostri imprenditori, per guadagnare qual cosina di più, esternalizzino le loro attività, mettendo in pericolo i diritti dei lavoratori… Non possiamo, infine, chiamare giusto ciò che non lo è, ed è così che si può rifondare la morale.