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“Un pianista prodigioso da tutti i punti di vista, il giovane Alexander Romanovsky è dotato di una straordinaria maturità di una eccellente tecnica virtuosistica e da una rara passione per la musica che risulta evidente in ogni singolo tocco del pianoforte.” Queste e altre entusiastiche recensioni accompagnano il compact disc che mi è stato spedito nelle scorse settimane da Isabella Puccini, nuova agente americana del giovane virtuoso ucraino e che ha già nella sua pregiata “scuderia” di artisti un altro giovane pianista di grande talento come l’americano Adam Nei man, ascoltato di recente anche a Bari.
Qualche critico musicale recensendo Romanovsky ha persino “osato” paragonarlo all’incomparabile, leggendario Vladimir Horowitz. In questi giorni ho ascoltato il cd pubblicato nei mesi scorsi dalla prestigiosa etichetta inglese Decca, naturalmente preso da notevole curiosità.
Due le composizioni rilette dal brillante vincitore del premio Busoni nel 2001 (allora aveva appena 17 anni, oggi ne ha otto di più): le “Etudes-tableaux” op. 39 di Sergej Rachmaninov, composte prima di lasciare la patria natìa fra il 1816 e il 1917 e, sempre del notissimo pianista-compositore russo le celebri “Variazioni su un tema di Corelli”, scritte con miracolosa velocità fra il 27 maggio e il 19 giugno del 1931, nella tenuta francese che egli aveva acquistato presso Clairefontaine.
Le letture rachmaninoviane di Romanovsky, sulla scia di una straordinaria Scuola Pianistica sovietica che annoverava oltre al già citato Horowitz fior di pianisti come Sviatoslav Richter, Emil Gilels, Lazar Berman fino ai più recenti casi di Andrej Gavrilov e Evghenij Kissin, ci paiono di ottimo livello. Tecnica trascendentale di eccellente solidità, ottave – specie nelle Etudes-tableaux – di trascinante compattezza, tocco superbo, uso del pedale di risonanza però ancora poco controllato.
Non c’è che dire si tratta di un pianista che sta crescendo con intelligenza e applicazione. Non dimentichiamo che ha solo 25 anni e possiede dunque margini di miglioramento per noi inimmaginabili. Paragonarlo però ad Horowitz può certo lusingarlo, ma anche fargli male molto male. Quanti giovani, grandi talenti del pianoforte si sono persi per strada per un complimento fuori luogo? In gergo sportivo dovremmo dire: “Lasciamolo lavorare perchè il tempo, alla fine, è sempre galantuomo…”
Due pagine di notevole difficoltà tecnica dunque, ma a mio sommesso parere, di mediocre contenuto musicale come le due incise da Romanovsky, non sono a mio avviso un test sufficiente per esprimersi sulla profondità ermeneutica ed espressiva di un’artista. Lo attendiamo dunque a prove più ambiziose, augurandogli la luminosa carriera che merita. Horowitz, per carità, lasciamolo stare lì dov’è…