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L’incessante, tenace e stimolante opera di sensibilizzazione al recupero, alla salvaguardia ed alla rivalorizzazione dell’antica Abbazia garganica di Kàlena a Peschici, da anni portata avanti “cirenaicamente” da Maria Teresa Rauzino e dal Centro Studi Martella, meriterebbe ben altra attenzione da parte delle Istituzioni. Un’attenzione che è tempo che vada ben al di là del plauso e dei riconoscimenti più o meno formali, e che assuma una volta per tutte le forme concrete di un intervento ormai ineludibile, per la sopravvivenza di una tale testimonianza di identità, di storia, di cultura e di fede: l’esproprio per pubblico interesse.
Lo scempio e il martirio inflitti a Kàlena dall’incuria e dall’impotenza da interessi contrapposti, rende più mai urgente l’intervento di un moderno Sueripolo (il fondatore di Peschici), che ponga fine alle scorribande interpretative di cavilli legali e regolamentari, e con la spada della decisione renda giustizia a un “bene comune”, che è patrimonio inestimabile, al pari dello stesso Gargano, della Grotta dell’Arcangelo o dei rotoli pergamenacei miniati nei più raffinati sciptoria benedettini.
L’antologia dei protocolli d’intesa e delle convenzioni con le private proprietà non è che una raccolta di fallimenti, di prese in giro e di studiate architetture per rinvii. La cattedrale laica del Petruzzelli, a Bari, ne è la testimonianza più evidente e più “bruciante”, ancora oggi, ad oltre 17 anni da una sciagurata notte di ottobre.
“Tutti invocano il restauro di Kàlena e si aspettano che il Comune avvii l’esproprio. E i soldi? Ce li diano, ci diano qualcosa come un milione di euro e la espropriamo subito l’abbazia”. No, signor sindaco. Kàlena e la sua lunga storia, Peschici e i suoi cittadini orgogliosi, il Gargano, la Puglia e i tanti appassionati in apprensione, per le sorti dell’abbazia, meritano qualcosa di più di tanta sfuggente disinvoltura.
Il problema non sono i soldi. Ma la volontà politica, che dovrebbe farsi sintesi di una diffusa volontà comunitaria, per tradurre in atti amministrativi, nonché in coerenti, conseguenti e concreti interventi esecutivi, le innumerevoli manifestazioni di intenti, che da decenni si inanellano in un miserevole rosario di supplichevoli preghiere al vento. Manifesti, il Sindaco, la ferma volontà di voler percorrere il sentiero dell’esproprio. Si renda disponibile, verso il Ministero dei Beni Culturali, per la delega ad avviarne la procedura. Di modi per trovare ben più di un euro per Kàlena ce ne saranno tanti, se si sa davvero a cosa serviranno.
Possiamo provare ad immaginarne alcuni. Proprio a cominciare da questo slogan: “Un euro per Kàlena”, che potrebbe essere promosso nei musei, nei siti archeologici, nei teatri e nei cinema di tutt’Italia. Sia con accordi sul costo dei biglietti d’ingresso, sia con inviti alle biglietterie alla sottoscrizione volontaria. Si potrebbe istituire un numero telefonico dedicato, come è stato fatto per i terremotati d’Abruzzo. Si potrebbero coinvolgere tutte le Comunità benedettine, attraverso un’iniziativa di solidarietà da lanciare per esempio a Montecassino. Chiamare la Chiesa a fare la sua parte, con i fondi CEI dell’8 per mille, e naturalmente a fare altrettanto all’insieme degli Enti locali. Si potrebbe coinvolgere il FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano), il mondo delle Fondazioni Bancarie, della Finanza e dell’Industria. Insomma, come si dice? Volere è potere. Secoli di storia benedettina dovrebbero essere illuminanti sulla forza della fiducia e sull’importanza del simbolo racchiusi nel fatidico primo passo. “Non abbiate paura” esortava Giovanni Paolo II. Kàlena lo merita. E, soprattutto, Kàlena ne ha urgente bisogno!