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Se è vero che una città si giudica dalle sue periferie, sarà davvero il caso di organizzarsi per fare un salto in quelle che circondano Bari. Per valutare quale testimonianza di cambiamento sia in atto. Per verificare la ricerca caparbia, e non sempre scontata, di ricostruzione del tessuto connettivo di aree in permanente stato di diaspora. A lungo intese quali satelliti di un pianeta urbano chiuso in se stesso. Asfissiato dal disordinato brulicare di una comunità metropolitana, spesso distratta dal magnifico orizzonte levantino su cui si affaccia.
San Paolo, Enziteto, Catino, Loseto, Ceglie, S. Rita, Carbonara, Fesca e San Girolamo. Sono solo le declinazioni più evidenti di un’azione “a includere”, quale risultante di scelte urbanistiche in controtendenza. Portata avanti con tenacia e con fermezza, non sempre condivisa e molte volte addirittura avversata (di solito all’inizio degli interventi, salvo mostrare riconoscenza alla fine), dalle stesse comunità beneficiarie restie, istintivamente, ad ogni tipo di cambiamento.
Ricerca e tentativo del recupero di una qualità architettonica smarrita, con drammatiche conseguenze sulla qualità sociale e civile. Accompagnati dallo sforzo di riannodare i collegamenti di una mobilità urbana sfilacciata che, in una città così grande e disarticolata, ha sconvolto i rapporti tra centro e periferia. Facendo venir meno al centro storico il ruolo di cuore dell’intera città, e creando, nel contempo, dei cosiddetti frammenti urbani privi di ogni identità specifica.
Ghetto, dormitorio, bidonville o lager. Erano definizioni per tenere a debita distanza la testimonianza imbarazzante di scelte, che negli anni avevano assunto i caratteri di vere e proprie sconfitte. Voler ricostruire un’identità generale della città rappresenta, pertanto, una scommessa che passa dal valore riconosciuto a queste “nuove centralità”. Per la ricomposizione di un unico sistema urbano, che possa basarsi su una rete integrata di relazioni.
Vista così, diventa misera la diatriba politica recriminante (tipica delle campagne elettorali) sulle cose non fatte o che si potevano fare. A voler “far le pulci” a qualsiasi amministrazione, di cose da fare o che si sarebbero potute fare, se ne trovano sempre a iosa. Più auspicabile sarebbe, invece, una riqualificazione del dibattito politico sulle cose fatte e sul come siano state fatte. Sulle scelte, sulla qualità e sul confronto dell’azione amministrativa pro-tempore. Nonché sulla concreta fattibilità delle rispettive progettualità e sugli strumenti adottati per la loro realizzazione.
Il ritorno alla centralità della politica non passa dal mero recupero della dialettica propagandistica. Piuttosto dalla capacità riacquisita dal cittadino-elettore di valutare se era meglio che sugli stabilimenti contaminati dell’ex Fibronit si potesse costruire o che partisse un programma di messa in sicurezza dell’area, per farne poi un parco per la città. Se era più utile alla città il moltiplicarsi di fasci ferroviari che l’attraversano, plaudendo al raddoppio della Bari-Brindisi, o eliminare i binari che da sempre segnano il quartiere Japigia, nel quadro del riassetto del nodo ferroviario che alleggerirà tutta la città dal groviglio di acciaio, traversine ed auto in coda ai passaggi a livello.
Se era meglio l’esodo popolare verso il quartiere San Girolamo degli inquilini di piazza Diaz – rione Madonnella, per lasciare il campo ad un’edilizia più “signorile” ed esclusiva, o favorire condizioni più signorili a quei cittadini di un pezzo storico della città. Ristrutturando e rimaneggiando i loro alloggi, in un’ottica di crescita civile e sociale dell’intero agglomerato urbano.
E ancora, confrontarsi con la riqualificazione del lungomare di Fesca e San Girolamo e la ricostruzione di 218 alloggi di edilizia pubblica insieme a 312 di edilizia privata. O se sia, infine, il caso di considerare una “svendita” per la città la cessione del palazzo della Prefettura al Governo, ottenendo in cambio il complesso articolato della Caserma Rossani, alcuni milioni di euro e la diplomatica e lungimirante operazione di riconsegna della Chiesa Russa al Patriarcato di Mosca.
La città cresce insieme alla democrazia e ai suoi cittadini. C’è da esserne orgogliosi. Buon viaggio!