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Propulsione massima sin dal primo istante, testi inglesi, assetto da punk trio in acido psichedelico e, sorpresa: il rock rinasce in Turchia!
The Ringo Jets è una band di Istanbul che ha debuttato con l’eponimo album all’inizio di questo 2014 (Tantana Records). La loro energia sazia chi è rimasto a digiuno di rock’n’roll. Non è un’iperbole. L’album contiene musica semplicemente energetica, una cura per chi è in astinenza di fuzztone e percussioni che promettono di far oscillare un sismometro.
Tarkan Mertoglu e Deniz Agan alternano assolo e ritmiche alla chitarra lasciando alla scatenata Lale Kardes la misurazione dei tempi. Alla voce, i tre si alternano: i primi due veicolano volumi increspati, mentre Lale snoda melodie avvolgenti.
Le connessioni con il lascito artistico di Bo Diddley, The Who, The Kinks, The Stooges e MC5 sono dichiarate, quelle con il beat inglese e lo swamp blues sono certificate dalle reinterpretazioni di Heat Full Of Soul (The Yardbirds) e Shake Your Hips (Slim Harpo).
Borderline tra l’hard rock degli anni ’70 e il Delta Blues, il gruppo ne percorre i confini con Ways, due minuti e mezzo in cui è sintetizzata la proposta de The Ringo Jets: cry baby, timbri abrasivi, ritmiche possenti e una voce alla disperata ricerca di “redenzione”. Il brano chiude il trittico introdotto dal furente TRJ Anthem e progredito con Kick The Ball, shot carico di impeto nirvaniano che rammenta Breed.
L’album è stato registrato presso le Officine Meccaniche alla corte di Tommaso Colliva (Muse, Franz Ferdinand, Afterhours, Calibro35) e include eccellenti partecipazioni.
A cadenzare le percussioni della sferragliante Tease provvede Mauro Refosco (Red Hot Chili Peppers, Radiohead, Thom Yorke) mentre Enrico Gabrielli (John Parish, Mariposa, Afterhours, Calibro35) partecipa in Stomper, blues dal sapore psichedelico.
Psichedelia che, nella musica come nel tratto figurativo, a più riprese abbraccia la creazione de The Ringo Jets. Il grafico di copertina congiunge elementi floreali, caleidoscopici e dai colori aggressivi come i riff di Black Coffe Blues in chiusura d’album.
Ma non è tutto, perché all’intero messaggio sonoro s’intreccia quello testuale, dai riflessi viscerali, che coinvolge fatti di cronaca. La band non glissa sulla vicenda di Gezi Park e ne trae spunto per Spring of War, incisione tesa e ampiamente schierata. La protesta elevata da migliaia di giovani per evitare la rimozione di seicento alberi in favore dell’edificazione di un centro commerciale viene repressa nel sangue e costa la vita a nove manifestanti. Ma l’avvenimento non riceve una puntuale attenzione. TRJ additano la sciagurata censura dei media compiacenti e colmano il vuoto informativo con l’amara parodia di un clip che, su YouTube, raccoglie oltre 100.000 visualizzazioni in una settimana.
Bravi, impegnati e attivissimi sul fronte live. Capaci di tenere il palco e di riproporre dal vivo lo stesso vigore delle registrazioni in studio – straordinario lo show case tenuto al Medimex – i ragazzi renderanno disponibile il seguito del loro debut album entro la prima metà del prossimo anno.
Intanto, godiamoci questo loro splendido primo capitolo.