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In una periferia inghiottita dal cielo nero pece, ringhia, sbava e sembra proprio di avercelo alle calcagna il veloce Bulldog che apre l’album Tapso II. E’ la sensazione che si ottiene ascoltando il brano di apertura con la copertina del disco sotto gli occhi.
Subito nel vivo, le triangolazioni tra Giancarlo Mirabella (batteria), Stefano Garaffa Botta (chitara e voce) e Giovanni Fiderio (violino e organo) catturano a furia di bordate. Il ritmo è ordinatamente scombinato dal drumming incalzante e dalle insolite schermaglie tra chitarra e violino.
I Tapso provengono dalla florida scena catanese e prima di formare il gruppo, nel 2005, hanno accumulato polvere e guadagnato stima suonando in decine di altre band. On the road prima che in studio di registrazione, i ragazzi girano per l’Italia, la Slovenia e la Germania accumulando idee per il debut album. Esordio che giunge con l’incisione di un disco (inteso proprio come vinile) di sette pezzi, autoprodotto e masterizzato dal musicista e ingegnere del suono Bob Weston, bassista per gli Shellac e assistente di Steve Albini nella produzione di “In Utero” dei Nirvana.
La voce distorta dagli effetti e la robustezza del ritmo sono i tratti caratterizzanti della band, forse troppo abusati, ma distintivi di un sound personale. L’incalzare di Bulldog rimanda a certi "stop and go" degli At the Drive-In, e la conclusiva History of a wave lascia finalmente apprezzare una voce colpevolmente nascosta per mezz’ora. The space outside giochicchia con i suoni dell’organo elettrico, Tonic-O è dissonante, Il mostro è una suite rock-noise di sette minuti che chiude il primo lato. Il secondo riparte con Almond galaxy che esaspera atmosfere tese e cupe per lasciare spazio a From Tan one to Tan two, una marcia verso l’allucinazione.
La pecca dei Tapso è quella di assemblare suoni pericolosamente uniformi e di sotterrare sotto una coltre di effetti la voce calda di Botta. A giudicare i brani di apertura e chiusura, infatti, c’è da credere fortemente nel progetto dei siciliani.