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Odio i vivi è il secondo album solista di Stefano “Edda” Rampoldi. Semper Biot, del 2009, aveva segnato il ritorno sulle scene dell’ex Ritmo Tribale dopo un lungo periodo di silenzio. Tredici anni di assenza dalle scene, una lunga stagione di isolamento che ha segnato l’esistenza di un artista controverso e assolutamente singolare per indipendenza e tratto stilistico.
Odio i vivi conferma tutta l’anomalia di Edda. Tra pensieri sconnessi e confidenze psicanalitiche, il disco di Rampoldi è uno spurgo liberatorio, è l’esternazione del putrido che regna accatastato nell’ombra, la confessione di pulsioni, fastidi riposti sotto una spessa coltre di ipocrisia. Edda sputa l’inferno che ha dentro in un album personale, un album incubato per mesi al pari di una gestazione culminante nel parto di scritti che risultano pagine di un diario lucido e folle, poetico e disperato. Nelle dieci tracce si sfidano Eros e Thanatos in un duello continuo per la supremazia: solo l’estremismo di certe idee senza filtro può alternare pensieri nudi, nudi come la giunonica donna proposta in copertina. I brani si susseguono come poesie deliranti che ballonzolano tra una schitarrata e una parola frammentata, stropicciata o “personalizzata” da Edda. Qualche rimando alla passata vita artistica trapela, misto a rock inconsueto, smorzato dagli arrangiamenti orchestrali di Stefano Nanni e dalla rappresentanza di ottimi musicisti che apportano linfa alla partitura ammorbidita da strumenti insoliti (autoharp, vibrafono, marimba).
E’ difficile crederlo, ma Edda sembra davvero a disagio: le esperienze trasposte nei testi descrivono ansia incombente o disgusto incessante, emozioni difficili da tenere a bada. Come uomo e come artista Rampoldi dà l’impressione di autodenunciare la sua condizione di soggetto sbagliato nel posto sbagliato. Sempre e comunque. Il canto, del resto, non lascia adito a fraintendimenti e cade preda di un’altalena espressiva che innalza la caratura dei brani e sottolinea la spinta emozionale che ha generato il flusso di parole.
È una comunicazione cruda, sboccata, depressa o volutamente sciatta, che quasi sempre sfocia nell’eccesso. Odio i vivi è indigesto, a tratti allontana l’ascolto, ma andrebbe ascoltato fino in fondo con attenzione e con il testo sotto gli occhi, per decidere se apprezzarne la disinvoltura o detestarne la licenza. Qualcuno la chiamerà poesia, qualcun altro follia. Questo è Edda, questo è Odio i vivi.
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