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Il prossimo 21 marzo ricorre la Giornata Mondiale della Poesia istituita dall’Unesco nel 1999. Oggi ha ancora senso parlare di poesia? I più raccontano dei poeti come di creature leggendarie oggi scomparse e ricordate attraverso i libri. In realtà i poeti esistono ancora ma sono merce rara, figure che hanno dovuto reinventarsi in spazi diversi da quelli a cui ci hanno abituato i nostri insegnanti di letteratura. La musica è uno dei luoghi che ha accolto questi spiriti erranti affamati d’emozioni e sentimenti. È il caso di Ermal Meta. Classe 1981, si avvicina alla musica sin da giovanissimo e fonda nel 2007 il gruppo La Fame di Camilla. Autore di canzoni portate al successo da artisti come Patty Pravo, Francesco Renga, Emma, Marco Mengoni, Chiara, Meta si è esibito come solista all’ultimo Festival di Sanremo con il brano Odio le favole. Dal 12 febbraio è disponibile negli store e in digitale il suo album Umano.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui a Milano, una delle tappe del firmacopie che lo porterà in giro per l’Italia nelle prossime settimane.
Ermal, come si comincia con "Storia di una favola" e si finisce a dire "Odio le favole"?
"Storia di una favola" ha per me un valore molto importante anche perché in realtà non parlava di una favola, quella canzone è una metafora. Nel momento in cui superi delle difficoltà immense contro qualsiasi tipo di previsione riesci a immaginare che quello che hai vissuto somiglia quasi a una favola. La parola favola è utilizzata in maniera leggera per dire “ho superato una difficoltà devastante”. Ho sempre usato molte metafore ma per parlare sempre e solo della realtà: stavolta ho voluto renderlo palese anche nel titolo "Odio le favole".
Il tuo rapporto con le favole quindi qual è?
Non ho nulla contro le favole, le ritengo un parto della fantasia. Invece la vita è il parto di un sogno e i sogni hanno gambe molto più veloci, ti fanno stancare molto di più e per me questo vuol dire che hai più cose da fare. Un sogno è molto più difficile, ti fa stancare, ti fa sudare davvero. Io continuo a viverlo, sono sempre in trincea.
Nel tuo ultimo album ci sono dei riferimenti ad artisti come Rino Gaetano e poeti del calibro di Luigi Pirandello. C’è un cantante o un poeta a cui fai riferimento quando scrivi?
Ci sono molti cantanti che mi piacciono. Tra gli italiani apprezzo molto Fossati con cui poco tempo fa ho scoperto di condividere la stessa passione per Fernando Pessoa. In ogni caso cerco sempre di non mitizzare mai, di non erigere monumenti a quello che ascolto. Provo a non essere molto incastrato all’interno dell’opera di qualcuno e divento un ascoltatore medio per riuscire a capire qual è l’emozione che mi arriva. Per me è uno studio che parte dall’idea di non cadere nel lavoro tipico del musicista ovvero quello di ascoltare un pezzo e coglierne il dettaglio tecnico a dispetto dell’emotività. Quando leggo una poesia non cerco mai di smontarla come facevo da ragazzino con i giocattoli che distruggevo per capire com’erano fatti dentro. Il motivo per cui – ride – non mi regalavano mai niente, rompevo sempre tutto: ero troppo curioso. La curiosità l’ ho fatta assopire in favore di quell’impatto di emotività che mi arriva. Non voglio vedere cosa c’è dietro il palco o la cucina di un ristorante. Mi voglio godere il momento, ora come ora mi nutre di più. Poi magari domani divento un’altra persona.
Pensando alla straordinaria forza emotiva di "Lettera a mio padre" ti chiedo: c’è una persona o una situazione che si ripete nella tua vita e da cui, nel bene o nel male, trai ispirazione?
Io ho una profonda dedizione e un legame molto forte con la mia famiglia. Quella è l’unica costante della mia vita, un tipo di sentimento talmente alto che mi fa sentire protetto come una coperta sulle spalle la notte quando hai freddo. È un gesto d’amore costante.
"I lupi di Ermal", così si fanno chiamare i tuoi fan. Da dove nasce questo richiamo al mondo animale?
È un nome nato casualmente durante un’intervista con Paola Gallo che prima della mia esibizione mi ha detto: in bocca al lupo. La mia risposta è stata: che il lupo corra con me. Chi in quel momento mi stava seguendo si è inventato questa storia dei lupi ma non è un caso, io credo molto nel karma. Sin da bambino il lupo è stato il mio animale preferito, mi piace il fatto che non sia addomesticabile e ti si avvicina perché lo sceglie. In questo assomiglia alla musica perché anche lei è selvaggia, non puoi dominarla, ti sceglie. Lo stesso avviene con i fan: sono loro che scelgono te.
Durante il firmacopie mi ha colpito molto vedere che i tuoi sono fan che attraversano tutte le fasce d’età. Che rapporto hai con loro?
Questo ha colpito molto anche me. Ci sono tanti giovani ma anche persone un po’ più grandi e ciò vuol dire che la mia musica è trasversale. Anzi, meglio: credo che l’onestà sia trasversale. Non baro mai nella scrittura, faccio quello che faccio con grandissima moralità intellettuale e per questo non ho voluto un produttore “in” per il mio lavoro. Non volevo delle “stirature” tra me e chi sarebbe andato ad ascoltare il disco, per i cantautori è una cosa che non va bene.
Hai scritto per diversi artisti italiani in questi anni ma siamo curiosi di sapere: per quale artista in particolare ti piacerebbe scrivere una canzone?
Per Vasco Rossi senza dubbio, tra gli stranieri invece per nessuno in particolare. Impazzisco per tanti artisti ma non so se vorrei mai scrivere una canzone per Thom Yorke, sarebbe come portare un cesto di frutta a Zeus. In ogni caso non vorrei mai conoscere le persone che m’ispirano, non voglio sapere chi è l’uomo dietro l’artista. Ciò che quella band o artista rappresenta per me si nutre anche dello spazio che ci divide. Per questo motivo sui social non seguo nessuno degli artisti che amo follemente.
Indipendentemente dalla polemica innescata dall’errata procedura del voto nella sfida Miele – Gabbani, credi che aver aderito a Sanremo Arcobaleno abbia in qualche modo influenzato il risultato finale nel tuo caso?
Penso che esista tanta solidarietà ma anche un sacco d’ignoranza in questo paese ed è una cosa davvero incredibile. Me ne sono state dette di tutti i colori: devi bruciare perché sei gay, devi morire, sei una vergogna. Uno addirittura mi ha scritto “Dio non assolve e non perdona gli arcobaleni”. Io sono molto contento di averne preso parte perché quel simbolo non ha un prezzo, ma un valore ed è qualcosa da sostenere, non stiamo parlando di fazioni. Siamo tutti esseri umani e io vado fuori di testa quando vedo e leggo sottotitoli che definiscono le persone cittadini di serie A o serie B. È una cosa che mi dà terribilmente fastidio perché io stesso ci sono passato per altri motivi e non ha nessun senso. Per questo serve una legge ad un certo punto ed è giusto che ci sia. Anche se poi alla fine l’hanno fatta un po’ troppo sporca.
L’ultima domanda è d’obbligo: quando parte il tour?
Ci stiamo lavorando, penso che per l’estate faremo delle date di presentazione del disco.
"Umano" contiene 9 tracce e chiamarle solo canzoni sembra un peccato perché sono lievi e potenti come quella poesia capace di spingere l’uomo ad interrogarsi sull’esistenza e l’uso dell’anima, quella leggera ma indispensabile presenza che abita in ognuno di noi.