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Ferita per una relazione tristemente conclusa, afflitta per non aver stretto le redini della propria carriera, pressata dall’ingombrante cognome, Chiara Canzian cerca una strada autentica nel mondo musicale.
Dopo essere stata investita dalle luci della ribalta, più che averne ricercato il bagliore, la ragazza si rimbocca le maniche e cerca di esorcizzare tutti i suoi demoni con un album cantautorale, melodico, tipicamente italiano, fondamentalmente proprio. Il mio sangue espone indizi formali che a prima vista risultano intellegibili. La foto di copertina propone uno sguardo imbronciato che buca l’obiettivo; quanto al nome e al titolo – d’impatto – dell’opera si ricorre a lettering corsivo, come a volerne decretare una completa autogestione. Nelle dodici tracce, le rivelazioni, i motivi e le recriminazioni che hanno fornito l’impulso per mettere i pensieri in musica.
Canzian ricomincia da qui, dalla rimozione di una partenza in pompa magna ben più grande del suo prestigio. Pare aver deliberatamente cancellato l’acerbo passaggio a Sanremo e sembra aver riposto in un angolo l’intervento ad Amiche per l’Abruzzo (iniziativa benefica dal nome davvero irritante). Di questi eventi restano solo citazioni buone per le interviste, niente più. Si volta pagina. Si riparte dal proprio mondo, da ciò che si calpesta con i propri piedi, fosse anche il proprio cuore. I temi trattati rispecchiano momenti personali, molto dolorosi, che meritano estremo rispetto. Non rappresentano certo liriche dettate da afflato poetico, ma non è questo che destabilizza piuttosto il voler indagare un unico tema, per di più abusato nella musica italiana. Forse un po’ rinunciatario è il genere scelto per accompagnare i testi: una decisione che annovera la cantante nella lunga lista di colleghe che si sovrappongono senza mai spiccare sulle altre per originalità. Chiara sbandiera la sua adulazione per quel mito senza eguali che è stato Jeff Buckley. Nella sua musica, però, mancano proprio alcuni elementi rivelati dal compianto cantautore: quell’ardore ritmico tipico delle sue ballate, lo struggente impeto volto ad enfatizzare anche le ferite più profonde, l’impatto timbrico, il coraggio di osare. La versione di Lover, You Should’ve Come Over, spesso proposta da Chiara nei concerti, è efficace, dimostra un gusto superiore alla media e indica le ottime doti vocali della veneta. Dimmi che è vero e Inverno e Primavera esprimono le potenzialità e inviano buoni presagi per il futuro. La grinta non manca.