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L’apice è raggiunto. Con la presenza dello scrittore Erri De Luca l’organizzazione di “Spiagge d’Autore”, il festival itinerante della letteratura, mette a segno il colpaccio.
In un duplice impegno che lo vede presente alla Lega Navale di Trani, e in seguito, al Lido il Brigantino di Barletta, De Luca delizia i numerosissimi presenti con racconti del proprio vissuto.
Alla darsena di Trani l’autore campano sgombera subito il campo dagli equivoci. Il suo intento non è quello di promuovere “un bel niente”: non il suo ultimo “Il peso della farfalla”, non qualche altra imminente pubblicazione. Erri vuole raccontare e in parte raccontarsi. Dall’inizio. Con pennellate a tinte forti tratteggia la Napoli della sua infanzia, una Napoli che non c’è più: parla di quella enclave americana del dopoguerra in cui le donne subivano e tacevano violenze ad opera delle truppe statunitensi, e di bambini come parafulmini su cui scaricare tensioni e malcontento. Scioglie i dubbi su un nome che “non esiste in natura”, affibbiato da una nonna americana che ama chiamarlo Henry. Impara che nomen omen e, sentendosi straniero in casa sua, annulla le ostili “h” e “y” che lo portano a presentarsi con un più partenopeo Erri.
A ruota libera, senza un copione, sia per gioia che per obbligo, rievoca le origini di un amore antico ma respinto da un primo contatto con i “ferri del mestiere”: foglio, inchiostro e carta fissante. “Se non fosse stato per la penna biro”, spiega, “non avrei mai fatto lo scrittore”. De Luca narra di tempi in cui a scuola si scriveva col pennino, e degli artifici adottati per asciugare pagine vergate da un inchiostro che andava seccato o con un soffio calibrato, o con una carta assorbente che “schiattava sotto le parole”. Un iter tanto macchinoso da esasperare anche uno impassibile come lui.
Sessant’anni, ossuto, mani grandi, occhi azzurri e un viso precocemente segnato dal tempo, Erri si palesa in elegante camicia a quadretti, scarpe e pantaloni da trekking. Lui che parla poco, e per sua stessa ammissione vive un volontario isolamento dalla nostra specie, di fronte alla platea si desta innescando la miccia di un monologo evocativo. Barlumi del militante rivoluzionario balenano quando elogia il valore dell’amicizia e sentenzia “che in questi tempi semiseri, ci stiamo giocando quella trinità laica costituita da uguaglianza, fraternità e libertà”. Quando vuole, e alle sue condizioni, concede la parola ad un pubblico assetato di risposte definitive. E ad emergere sono i temi sulla fine dell’esistenza – in proposito cita Josif Brodskij (“Nel passato quelli che ami non muoiono”) – e i dettagli del suo debutto narrativo; dell’operaio e del muratore che si ritaglia momenti di raccoglimento per scrivere, per festeggiare lo scippo di quei rimasugli di vita rubati alla fabbrica. Perché la scrittura non è per Erri De Luca un lavoro, ma il “giusto contrario”.
Prima di recarsi dai suoi lettori, l’autore di “Tre cavalli”, “Il giorno prima della felicità” e “Il peso della farfalla” ha accettato di darci udienza. Affabile e ben saldo nelle sue convinzioni, De Luca ha confermato la sua genuinità anche come uomo. Quando gli ho domandato se preferiva essere chiamato maestro mi ha chiesto in napoletano: “Maestr ‘e che?”.
I protagonisti delle sue narrazioni sono spesso uomini solitari, pratici e lontani da odierne diavolerie tecnologiche. Lei, invece, è presente su facebook: come e con quali aspettative utilizza i social network?
Nessuna aspettativa (sorride! Ndr). E’ un servizio che mi fanno delle persone amiche ed io sono contento che si prestino a fare questa cosa. Ma non so che combinano là sopra. Lascio gestire a degli amici che hanno pensato di fare questa pagina ma io non ci capisco niente, insomma, lascio fare.
Lei è uno scrittore di successo …
(Si stringe nelle spalle come a schermirsi per un complimento esagerato, ndr).
Non lo dico io ma Giorgio De Rienzo, del Corriere della Sera, che la definisce “il solo vero scrittore di rango che per ora ci ha dato il Duemila” e la considera tra i migliori scrittori del decennio.
Eh …
Oltre che scrittore di successo, quindi, è un intellettuale atipico che ama cimentarsi anche in altri percorsi artistici. Mi riferisco alla musica, in passato ha collaborato con il cantautore Gianmaria Testa e ha scritto dei brani. Su Youtube si può vedere una sua recente performance, voce e chitarra, di “Ballata per una prigioniera” (dedicata alla Balzerani, ndr). Quali vibrazioni Le trasmette la musica?
Be’ ho imparato a cantare. Essendo napoletano mi hanno costretto a cantare e poi mi hanno anche insegnato a suonare una chitarra, a strimpellarla, così mi sono tenuto compagnia nel tempo con la voce e con la chitarra. Con Gianmaria Testa abbiamo fatto molte cose insieme e continuiamo a farne. “Ballata per una prigioniera” è una scrittura che ho fatto per un libro di poesie (Opera sull’acqua e altre poesie, ndr), edito da Einaudi, al quale poi mi è capitato di aggiungere una musica. Ecco per me la musica è qualcosa che si aggiunge alle parole quindi non sono un musicista sono uno che appiccica un po’ di musica sotto delle parole.
Due nomi. Uno italiano e uno straniero che, in ambito musicale, preferisce su tutti.
Italiano, mi piace Gianmaria Testa. E come straniero … vediamo … il cantante che mi è piaciuto di più e stato Georges Brassens.
Sia ne “Il peso della farfalla” che nelle Sue precedenti opere traspare un profondo amore per la natura e per il mondo animale. Oggi il Pianeta viene depredato del suo dentro e riempito di ogni sorta di avanzo mentre gli animali vengono prodotti in serie per fini merceologici. Lei come vive lo scempio che si consuma ai danni dell’ambiente?
Be’ è una tendenza generale, non ci posso fare niente. Io andando in montagna, però, mi procuro un posto abbastanza vuoto e desertico dove la nostra specie, la mia specie, è in minoranza fino a scomparire e si possono incontrare degli animali che vivono là sopra, allo stato naturale, e che hanno imparato a stare alla larga da noi.
“La luce del giorno accusa, lo scuro della notte dà l’assoluzione” (tratto da “Il giorno prima della felicità”, ndr). Se non fosse lei l’autore di questi versi, come li interpreterebbe?
Mah, è una frase che sta bene in quella pagina, in bocca a quel personaggio. Non è una sentenza o un motto che può andare bene fuori di lì. E poi sta bene riferita a Napoli: una città che di notte è sincera, leale, generosa e di giorno è una delle tante città dell’affanno occidentale.
Lei ha vissuto in prima persona, sul campo, un periodo storico di grandi mutamenti generati dal basso. Una sorta di piramide rovesciata che ha portato a grandi conquiste sociali in questo Paese. Mi vengono in mente lo statuto dei lavoratori (1970), la legge sul divorzio (1970) e la nascita delle radio libere (1976). L’indolenza della gente che sensazione provoca in Lei?
L’indolenza? (si sofferma a riflettere, ndr). E’ un diritto delle persone, se se la possono permettere, l’indolenza. Io ho conosciuto tempi che non se la potevano permettere, insomma, tempi in cui la gente doveva fare qualcosa, sia dal punto di vista … proprio del tirare a campare, sia della possibilità di provare a spostare i rapporti di forza nel mondo. Ma se uno si trova, invece, a poter campare senza queste necessità, va bene essere indolente.
Lei è entrato a far parte di Lotta Continua (gruppo di estrema sinistra, ndr) per scelta o per caso?
L’ho fondata, diciamo. L’abbiamo fondata, quindi, era una deliberata intenzione.
E a scrivere libri?
Mah … scrivere storie. Mi sono tenuto compagnia fin da ragazzo con questo sistema, con lo scrivere storie. Che diventassero libri è successo abbastanza per caso e molto tempo dopo, verso i miei quaranta. Scrivo storie, sì. Continuo a farlo e continuerò a farlo pure se non mi pubblicano niente.
Ma è andato Lei in cerca di un editore?
No, no. E’ capitato per caso. Siccome io scrivo tutte storie mie, tutti i fatti miei, cose che riguardano strettamente le mie esperienze, la mia parte di vissuto, allora prima di pubblicare il primo libro pensavo che erano solo fatti miei. Poi è successo, invece, che è avvenuta questa pubblicazione per combinazione … ma ancora adesso non mi spiego perché le storie che scrivo, i fatti miei, tengono compagnia agli altri. Non me lo spiego.
Che cosa direbbe l’Erri De Luca giovane militante politico della sinistra rivoluzionaria all’Erri De Luca affermato scrittore?
Vorrei che quel giovane riconoscesse in me il suo seguito e avesse voglia di stringermi la mano. Sì, mi piacerebbe che quel giovane riconoscesse in me il suo seguito.
E leggerebbe anche i suoi libri?
Be’, ne è parte, quindi, sì. Probabilmente sì.
Com’è nato il suo sodalizio amicale con Mauro Corona? Origini completamente diverse e un comune amore per la montagna? Corona, però, è nel suo habitat.
Be’, sì lui è nel suo habitat di scalatore, io le montagne me le sono andate a cercare, me le sono procurate, lui ce le aveva intorno. Abbiamo, però, delle cose in comune: siamo nati nello stesso anno, abbiamo fatto mestieri manuali e ci siamo messi a scrivere. Ci siamo incontrati e ci siamo stati simpatici e quindi ci frequentiamo.