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Un divieto, una presa di coscienza e il senso di appartenenza. Bruce Springsteen indossa il vestito per uccidere ed entra in sala d’incisione. Furente e deluso, ma altrettanto lucido e pronto alla denuncia sociale, registra Darkness On The Edge Of Town, quarto album con la E Street Band. E’ uno Springsteen nuovo che parla di rabbia, canta l’inganno e musica il senso di smarrimento.
La gestazione travagliata di questo disco, decisivo per la maturazione dell’artista, ha visto nascere e accantonare brani bellissimi (su tutti Because The Night) che “forse” dice oggi Springsteen “avrebbero potuto, o dovuto essere pubblicati dopo Born To Run e prima di Darkness On The Edge Of Town”.
A distanza di tre decenni, si rimedia con The Promise: The Making Of Darkness On The Edge Of Town Story un documento che testimonia il biennio 76-78. Il cofanetto uscirà il prossimo 16 novembre e conterrà la versione rimasterizzata dell’album originario, due CD con 21 outtake, un DVD o Blu-ray con le riprese di lavorazione al disco, due video-concerti incentrati sui brani di Darkness (uno registrato a Houston nel tour del ’78 e uno nel teatro vuoto di Asbury Park l’anno scorso) e la riproduzione del taccuino che svela la stesura dei testi.
Dopo la pubblicazione di Born To Run (‘75) Springsteen è costretto, da una sentenza del tribunale, a non poter tornare in sala d’incisione per registrarne il seguito. Il divieto verrà revocato solo dopo aver raggiunto una “conclusione amichevole” con Mike Appel, dapprima mentore e manager, poi avversario in un’aspra battaglia legale (Springsteen, da incauto esordiente, aveva siglato un contratto che cedeva tutti i diritti di pubblicazione ad Appel).
Finalmente padrone del suo passato – a fronte di un ingente esborso e di una cocente delusione – Bruce rettifica il tratto stilistico, attenua l’epica romantica ed indaga i conflitti dell’età adulta. “Born To Run fu la linea di demarcazione”, scrive nell’autobiografico Songs, “fu l’album in cui superai le mie concezioni adolescenziali dell’amore e della libertà”. Il caos dell’intera giovinezza, chiuso sulle note di Jungleland, lascia spazio a tematiche che descrivono personaggi sprofondati nell’oscurità, alla ricerca di un’assoluzione che giunge attraverso un percorso di dolore. Indispensabile risulta la scoperta dell’opera di Hank Williams, ma non meno suggestiva si rivela The Grapes of Wrath, il bianco e nero di John Ford. La musica, come a voler rispettare una naturale simmetria, indirizza il suono verso ritmi più arrembanti, più consoni ad una scrittura concisa: una revisione che, forse, si deve anche ai suggerimenti del nuovo consigliere-produttore Jon Landau, già con gli MC5. Dalle session scaturiscono creazioni dagli echi country e dalle inaspettate aperture hard rock.
Il filosofo Jean-Paul Sartre diceva che chi cammina sull’orlo dell’abisso non corre tanto il rischio di caderci quanto quello di gettarvisi. In Darkness, a passare in rassegna, sono proprio le esistenze inquiete che oscillano sul margine. Un ricettacolo di personaggi che racconta di aver smarrito qualcosa o giura di riagguantarla. In Badlands, l’urgenza di riscattare la propria vita dal disprezzo stride con la cercata emarginazione di Streets of Fire. Riferimenti biblici prospettano l’archetipo religioso dell’espiazione. Succede per il rapporto filiale inaridito in un deserto di parole (Adam Raised A Cain), per l’idea che i sacrifici di una vita onesta vengono ricompensati (The Promised Land) e per l’acqua lustrale che lava via i peccati dalle mani (Racing In The Street).
Il senso di precarietà è sempre incombente. Brancoli nell’oscurità o varchi la fabbrica “con la morte negli occhi” (Factory), un’accelerata spinge “in cerca di qualcosa nella notte” (Something In The Night), un’altra a gareggiare sotto Abram’s Bridge sprezzanti del pericolo (Darkness On The Edge Of Town). Ogni sorso dell’album da un colpo allo stomaco e uno alla testa. Sentenze e dubbi spesso scaturiscono da eventi autobiografici. Ad esempio, il ragazzo nella Chevy del ’69 guarda attraverso il finestrino o ci si specchia? Forse uno sguardo profondo buca il cristallo e cattura l’immagine all’orizzonte, un altro lieve biasima la propria immagine. Springsteen riporta il senso comune di una generazione disorientata e al tempo stesso si racconta. “Dovevo infondere nella musica le mie stesse paure e speranze. Se non lo fai, i tuoi personaggi suonano vuoti e rimani solo con la retorica”. L’operaio che in Factory baratta l’udito con la paga, altri non è che Douglas il padre di Bruce. Il particolare si fa universale per modellarsi sulle vicende della classe operaia.
Promesse spezzate, duro lavoro, sogni infranti e relazioni andate in malora: il rock’n’roll non è mero intrattenimento. Springsteen non concentra tutte le attenzioni in una visione egocentrica, ma scatta un grandangolo della società americana “durante la recessione della presidenza Carter”. Con franchezza manifesta il “senso di responsabilità verso le persone al fianco delle quali ero cresciuto”, dove le ambasce “di una comunità sotto assedio” si rincorrono tra pragmatismo e spiritualità. Una chiara rivendicazione di discendenza dalla working class che ha difficoltà a sbarcare il lunario. Un tratto distintivo della poetica di Springsteen che, da qui in poi, si ritroverà in tutta la sua produzione. In aggiunta a parole come pietre, la musica preme per rendere definitive le raffigurazioni. Lamento sfociato in urlo e climax di piano sovraccaricano l’atmosfera di Something In The Night, la frenesia cadenzata di Candy’s Room rende tangibile l’eccitazione, l’esplosione di Badlands trasmette il senso liberatorio del pezzo, Prove It All Night esalta qui, e in special modo dal vivo, l’estro chitarristico di Bruce. Ma è il brano di chiusura a battezzare l’album e a caratterizzarlo definitivamente. E’ una ballata amara e disillusa, dall’andamento alterno. Voce impostata su registri bassi, pianoforte a fare da asse portante e chitarra ad interagire tra gli spigoli del ritmo e le curve della melodia. Quattro minuti e mezzo di energia, trattenuta nel pugno serrato, liberata all’attacco del ritornello. Uno struggente finale che suggella la presa di posizione di un “non più ragazzo” pronto ad assumersi il peso delle scelte. “Con il verso finale dell’album”dirà “i miei personaggi si mostrano insicuri circa il loro destino, ma responsabili e impegnati. Alla fine di Darkness avevo trovato la mia voce adulta”.
La vicenda artistica di Bruce Springsteen narra di un uomo in cammino verso la sua maturazione. Ogni disco un capitolo, ogni capitolo il punto di vista dell’uomo che osserva il mondo che lo circonda. Darkness On The Edge Of Town sprigionerà tutta la sua suggestione negli anni. Nell’oscurità è interrato il seme che germoglierà nel canto tetro delle anime perse di Nebraska e tra le lacerazioni sociali di The Ghost Of Tom Joad.
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