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Squarcia il buio che avvolge il palco con un sorriso, Cat Power. Rilassata, bicchiere in mano e sigaretta accesa, indossa una T-shirt con uno slogan che gioca sul doppio senso: “People Have The Power”. Il suo concerto d’esordio in Puglia coincide con l’inizio dell’ottava edizione del Sud Est Indipendente Festival – targato CoolClub – e per l’occasione allestito a Torre Regina Giovanna di Apani, in provincia di Brindisi.
Cantautrice fascinosa, brava e maledetta, Chan “Cat Power” Marshall ha alle spalle vent’anni di carriera, una vita errante e inquieta e un nuovo nucleo di musicisti subentrati alla Dirty Delta Blues Band. Adeline Fargier (chitarra), Nico Turner (basso), Alianna Kalaba (batteria) e il reduce Gregg Foreman (tastiera e chitarra) sono gli indispensabili scudieri che assecondano – insieme alla paziente squadra di tecnici – le pressanti richieste di Cat volte a regolare l’audio in base alla bizzaria del momento. Quest’ultimo tour promuove Sun, album del 2012, che presenta un nuovo stile, un colpo di spugna che cancella il mood musicale del passato e collima con il nuovo aspetto, non del tutto volontario, offerto dalla musicista americana.
Un rinnovamento che non turba i fans della prima ora. Quelli presenti in prima fila certificano la loro presenza stendono sul palco una piccola stoffa ricamata recante alcuni versi di No Sense (We made no sense/No sense/We had no sex) che Cat Power espone come un trofeo.
The Greatest, con i sui sette minuti, è prologo di uno spettacolo che durerà un’ora e mezza. Diverso, meno enfatico rispetto a quello inciso in studio, il componimento si presenta rivoluzionato. Chan trascina liriche sostenute dal solo arpeggio di chitarra, prima che gli altri strumenti facciano il loro ingresso per stabilirne le profonde estremità. Una raffinatezza spenta a colpi di sintetizzatore, quelli di Cherokee. Il singolo di Sun introduce non solo il nuovo corso, elettronico e spigoloso, ma anche l’invariato siparietto mimico – una costante delle esibizioni di Cat Power – con la regia audio. La cantautrice promuove un dialogo sospinto da segni cifrati, netti, che non lasciano scampo ai destinatari. Un inconveniente tecnico, inavvertito dall’audience, che sarebbe stato facile eludere con l’esecuzione di un convenzionale soundcheck.
Il palco, disadorno, è immerso in cromatismi densi di rosso e blu. Cat Power è l’incontrastata regina della scena e i membri del gruppo sembrano suoi atterriti sudditi. Non è un rapporto alla pari e il coinvolgimento della band è purtroppo minimo, a scapito delle integrazioni ritmiche e dello spettacolo. Ma se le tessiture strumentali e le variazioni dinamiche difettano, il canto è ammaliante: a volte destrutturato, quasi dylaniano, altera la buccia di certe esecuzioni (Manhattan) mentre è perfettamente calibrato sulle traiettorie curve di brani di repertorio come Song To Bobby, Metal Heart e Sea of Love. Eseguito in sequenza, il trittico, sublima la performance canora che svetta su parti strumentali lievemente tratteggiate.
Ruin, l’epilogo, replica il rito del dono dei fiori: Cat Power lancia rose bianche al pubblico e sembra finalmente soddisfatta, o se non altro, un po’ più libera dalla sua maledetta anedonia.
I sorrisi che hanno accompagnato il suo debutto sul proscenio pugliese tornano nel finale. E così, il “fenomeno rimasto circoscritto nel mondo indie”, “l’asso dell’underground”, “la fobica del palco” ha offerto un’esibizione convincente che ha spazzato via dicerie e nevrosi preconcerto.
Solo, dispiace constatare che, nella bucolica location allestita per l’evento, si siano presentati circa 500 spettatori. Davvero pochi per un avvenimento così autorevole.
Foto di Francesco Santoro