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Nove brani strumentali che reclamano attenzione e ripagano con potenza espressiva. Girolamo De Simone propone Ai Piedi Del Monte, mezz’ora di performance pianistica dalle traiettorie tradizionali, a tratti operistiche, rinnovate con moderno acume.
Il pianista campano rigenera spartiti originali e rivisita brani, come recita il titolo, nati all’ombra del Vesuvio. La musica napoletana di oggi non è quiescente come il suo vulcano, tanto meno monopolizzata dai neomelodici, e De Simone lo afferma con il cratere in eruzione, à la Warhol, stilizzato in copertina. Un’esplosione, uno sfogo di colori che prelude alla colata di note di un recente passato (quelle di Vincenzo Romaniello), una celebre parafrasi (di Gaetano Donizetti) e componimenti personali.
Fabulae Contaminatae, malinconica e viscerale, apre l’album e rapisce per amara bellezza. Tocchi delicati ne librano la balsamica essenza prima di cedere il passo alla greve Tristezza dell’Anima e a primi piani in dissolvenza della mistica Ave.
Nemo propheta in patria (sua), De Simone rientra tra i principali esponenti internazionali della musica di frontiera. Incanta con il prediletto Steinway & Sons, con soluzioni inconsuete affidate alla spinetta (Canto dell’Arco e Inno alla Vergine) e con il liturgico suono d’organo di un convento francescano (La Verna).
Proprio il concetto di spiritualità irrompe in gran parte delle composizioni per delinearne il percorso. Eccezion fatta per Canto dell’Arco, inconfondibile folk partenopeo, buona parte dei brani evidenziano la fervente spiritualità della gente ai piedi del monte. Un album di musica colta da apprezzare in santa pace.